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Posts Tagged ‘20 alberi abbattuti a Pentimele’

Mi riferisco, qui, naturalmente a “L’ uomo senza qualità”, che non è stupido come potrebbe sembrare da una interpretazione superficiale, quanto invece una persona capace, intelligente, colta che però non coglie le possibilità che la vita le offre e vive come avviluppata in una rete della quale non riesce a trovare il capo per venirne fuori. Questa riflessione mi viene sollecitata dal rumore che ha suscitato in alcuni settori dell’opinione pubblica la notizia dell’ abbattimento di alcuni alberi secolari a Pentimele, zona decentrata di Reggio Calabria, notizia ripresa e  amplificata da alcuni organi di stampa, che hanno gridato allo scempio. In questa sede non intendo entrare nel merito del perchè quegli alberi siano stati abbattuti, anche se ritengo ci sia stato un motivo valido. Prendendo spunto dalle reazioni clamorose all’ evento sento il bisogno di fare alcune considerazioni.  C’ è da dire innanzitutto che l’ albero è un elemento importantissimo della natura e come tale va rispettato, amato e curato e come tale è, giocoforza, sottoposto alle leggi naturali cioè anch’ esso albero, essendo un essere vivente, ha un ciclo vitale che comprende nascita, vita e morte. L’ albero, dunque, va prima di tutto piantato con amore e ricordo con gioia quando alunna delle elementari ho piantato, giorno della festa degli alberi, un albero a S. Stefano in Aspromonte, il paese incantato nel quale sono nata; vado spesso a trovare quell’ albero  e lo considero un amico particolare. E’ vero ed è bello il fatto che il mondo della natura sia capace di suscitare sentimenti ed emozioni forti  espressi variamente nel mondo dell’ arte in genere e della letteratura in particolare  come stupendamente ha fatto carducci in Davanti San Guido. Ma è follia pensare che gli alberi possano essere eterni; è significativamente esaltante e affascinante  ammirare  alberi secolari, ma pretendere di mantenerli in vita ad oltranza  significa avere trovato il gene dell’ immortalità, e sarebbe  una scoperta gigantesca della genetica, oppure, d’altra parte, potrebbe significare accanimento terapeutico. Nella fattispecie, se i cipressi di Bolgheri stanno male perchè sono vecchi, secondo me invece di cercare di sostentarli con farmaci sarebbe preferibile sostituirli con piante simili ma giovani. L’ albero, dunque, va curato con amore e, giunto alla conclusione del suo ciclo vitale, va abbattuto, utilizzandone il materiale ad usi diversi, e sostituito con altre piante, simili o no, ma nuove. Un albero vecchio spesso marcisce all’ interno e può cadere provocando gravi danni , per il risarcimento dei quali poi vengono chiamati in causa e anche citati in giudizio i responsabili umani di turno. L’ albero,  nell’ immaginario collettivo antropologico  socio-culturale, rappresenta la vita e le sue radici richiamano l’ appartenenza ad un determinato territorio che quasi sempre coincide con il luogo di nascita. Lo scandalo per l’ abbattimento di un albero secondo me dimostra l’ immobilismo della società italiana, accartocciata su se stessa nel culto di un passato comunque migliore del presente, sonnolenta, incapace  di costruirsi un futuro.  Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce : questa affermazione usata soprattutto come metafora del male, rumoroso, contrapposto al bene, silenzioso, si adatta con particolare aderenza alla materia di cui qui si tratta. E se poi gli alberi abbattuti sono 20 bisogna elevare quel rumore alla ventesima potenza. O no?  Sic transit gloria mundi. Qui e ora dovrebbe intervenire l’uomo nuovo, attuale, svegliarsi dall’ anestesia nella quale si ritrova ormai da troppo tempo e, novello Ulisse, osare con audacia e saggezza per fare, chiacchierando  e litigando di meno .

DAVANTI SAN GUIDO

I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.

Mi riconobbero, e – Ben torni omai –
Bisbigliaron vèr me co ‘l capo chino –
Perché non scendi? perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male!

Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido così
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui!

Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei –
Guardando io rispondeva – oh di che cuore!

Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:
Or non è più quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.

E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù;
Non son più, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro più.

E massime a le piante. – Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dì cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.

Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
Ben lo sappiamo: un pover uomo tu se’.

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.

A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol;
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!

E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;

I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,

Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ‘l lor bianco velo;

E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà.

Ed io – Lontano, oltre Appennin, m’aspetta
La Tittì – rispondea -; lasciatem’ire.
È la Tittì come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.

E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano!

Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? –
E fuggìano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giù de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:

La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sì sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,

Canora discendea, co ‘l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.

O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!

Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.

Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio così.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,

Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi più:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.

Ansimando fuggìa la vaporiera
Mentr’io così piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò

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Giosuè Carducci

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