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Posts Tagged ‘mare di genova’

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Vincenzo Guerrazzi , artista poliedrico

di Vincenzo Guerrazzi

Caro Garibaldi, sono seduto ai piedi del tuo monumento e guardo il mare. Sento l’orologio che suona da una vicina chiesa. Mi giro e vedo una coppietta. Sono abbracciati stretti e i loro occhi fissano la tua faccia coperta dalla polvere e corrosa dal salino. Ingannasti i meridionali quando partisti da questo scoglio al servizio degli interessi inglesi contro quelli francesi per il dominio del Mediterraneo. Il padrone, caro Garibaldi, non ha nazionalità, per cui francese, inglese o subaudo, “il selvaggio” è costretto a vivere sempre una vita di stenti e ad essere bastonato, angariato e rapinato.
Vedi, caro Garibaldi, i meridionali erano convinti che andassi a liberarli. Da chi, e perchè? Loro non sapevano e non sanno nulla dei giochi, di questi giochi. Comunque, la spedizione se non l’avessi fatta tu di certo l’avrebbe fatta un altro. Volevi, volevate l’unità del Paese. Ma quale unità? Il Sud, tutti i Sud del mondo, di questo cazzo di mondo, non è stato mai riconosciuto, non sono stai mai riconosciuti, se non per spolparli, massacrarli di lavoro e poi umiliarli come uomini nani.
II paradosso è che i depositi bancari meridionali, voglio dire, le varie casse rurali, banche di Sicilia e di Napoli, Cassa del Mezzogiorno, ecc., hanno fi­nanziato lo sviluppo e l’industrializzazione del Nord. La primavera dell’unità d’Italia ha portato al meridionale un sor­riso atroce, di stenti e di mise­ria, di massacri, di nobili più arroganti e di mafie più potenti. Questo il popolo leghista lo sa?
Tu sei un Eroe Nazionale perché hai ser­vito la borghesia nazionale, la quale, per riconoscenza ti ha mandato in pensione a Ca­prera, e memore dei servizi che gli hai reso ti mandava ogni tanto fanciullette a trastullarti.
Ora sei qui, sullo scoglio di Quarto, guardi il mare e non ti lamenti. A Caprera ti la­mentavi spesso, scrivevi lettere indignate ai prefetti, ma solo perché le fanciulle (oggi chiamate escort come la vecchia automobile degli Sessanta), non erano di tuo gra­dimento. Amore senile e ancel­lare, mio povero eroe. Da coerente puttaniere quale sei sempre stato ti scopavi le contadinelle da Teano in giù. Il tuo uccello l’hai saziato. Tutti i potenti e anche gli eroi hanno il chiodo fisso: saziare questo cazzo di uccello. Lasciamo andare perché il discorso diventerebbe molto difficile.
Vedi, caro Garibaldi, non pensare che ti dico queste cose per offenderti, non è nella mia inten­zione, ma non voglio nemmeno venerarti: te le dico perché sono cose vere che pochi conoscono e le nascondono perché non hanno il coraggio… anche i rivoluzionari del Sessantanove che per ipocrisia lo chiamano Sessantotto. Sono quei vecchi ex giovani che hanno fatto la Guerra di Crimea, insomma
I militonti. L’eroe non può avere macchie, mio caro Garibaldi.
Mi guardi dall’alto come una montagna guarda un piccolo ruscello che scorre ai suoi piedi. Ho l’impressione di sentire la tua voce con un accento insolito. Hai forse nostalgia dei passati amori o è forse un senso di pentimento? Qui, d’estate, in questa piccola spiaggia sotto i tuoi piedi, vengono a bagnarsi molti meridionali del mondo. Nessuno ti guarda più, ci hanno fotto l’abitudine anche quelli dalla pelle colorata. Qui, in questa città con lo scoglio di Quarto di meridionali del mondo ce ne sono tanti, ed ancora più nella città di Cavour. E gente che vorrebbe tornare dov’è nata. Partirebbe anche d’inverno con il freddo e il mare grosso. Ma non può perché nel Sud del mondo l’aria non è più calda come lo era un tempo. La temperatura del meridione del pianeta si è abbassata.
Caro Garibaldi, il nostro mondo oggi è pieno di cose grandi e sublimi e fare una scelta è tanto difficile. Vedessi quante cose ci sono e quante contadinelle con le tette che si chiamano escort. E poi quanti teatri e macchine volanti ma il Sud è sempre quello. L’unità del Paese per la gente del Sud è stata solo fenomeno nervoso, del tutto privo di contenuti, per niente chiaro. La morte nel meridione si aggira ancora adesso, specie nei bambini, con gli stessi abiti del tuo tempo: stracci multicolori. Vedo che continui a fissarmi con il viso alterato non è il caso, io cerco solo parlarti, dire le cose che nessuno ti ha mai detto.
Ma a cosa serve parlare a un monumento?
Sei qui in piedi, col tuo sguardo impo­nente e un po’ mitico. Vedo che taci e non rispondi. Ti chiedo solo la chiave. La chiave del­l’unità. Se me la dai la porto al Presidente e al popolo della Lega. Vedo ancora che non ri­spondi, che sciocco! Tu non hai aperto con la chiare, tu hai sfondato la porta e hai rotto la serratura. Sono centocinquat’anni che i meridionali cercano un falegname per ripararla. Non ne hanno ancora trovato uno.

Genova, 5 maggio 2010

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