Ho letto il libro scritto a quattro mani dal magistrato antimafia Nicola Gratteri e dallo storico esperto di crimine Antonio Nicaso. Il saggio descrive le regole principali che sottendono le organizzazioni di ‘ndrangheta, quasi fossero i dieci comandamenti che gli affiliati sono tenuti a osservare previo giuramento delle formule all’uopo predisposte. Il lavoro pregevole che ha sicuramente richiesto un notevole impegno di ricerca mi ha lasciato un forte senso di amaro in bocca, perchè la lucida e precisa analisi non lascia spazio alla speranza. L’ultimo comandamento “E’ stato sempre così e sarà così per sempre”, esprime in maniera efficace il concetto dell’eternità della malavita organizzata, che sfugge ad ogni tentativo di ragionamento logico. Il contenuto del libro è sintetizzato perfettamente dal pensiero di Sciascia, ripreso in anteprima «Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di un paese che amo, e spero di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione». Senza speranza, dunque ? In questo contesto impervio quale il ruolo della magistratura? Cosa possono e devono fare i giudici? Cosa la ragione ?
Ritengo questo libro un tassello importante per divulgare e far capire linguaggi e comportamenti del mondo del crimine, anche se rimane sempre l’incognita dell’imponderabile come dimostra il fatto che, il libro fresco di stampa, viene fuori con l’operazione Saggezza la presenza di una sovrastruttura di ‘ndrangheta denominata Corona, della quale il Procuratore DDA Gratteri autore di Dire e non dire afferma “E’ la prima volta che sentiamo parlare di Corona”
Gli autori non sono nuovi nell’ambito della scrittura relativa alla ‘ndrangheta, tanto che il loro primo lavoro “Fratelli di sangue” viene spesso citato da collaboratori di giustizia per giustificare alcune loro frasi intercettate.
A me personalmente Gratteri piace come si pone: è diretto e cordiale dal linguaggio semplice e comprensibile; di fatto però devo aggiungere che quelle che nel libro vengono desctitte come regole del codice di ‘ndrangheta costituiscono una specie di luoghi comuni utilizzati da tuttim fanno cioè parte del patrimonio linguisticodi tutti noi. Non capisco, quindi, dove sta la novità.
Per quanto mi riguarda più da vicino devo dire che ho fatto degli studi sulla storia del territorio nel quale vivo e molti aspetti del mondo di cui il libro tratta mi erano già noti e, in proposito mi suona strano definire boss il brigante Giuseppe Musolino, sul quale ho ricercato parecchio anche perchè questo individuo ha sparato pure a mio nonno Stefano Romeo per fortuna solo ferendolo. Certamente affiliato come picciotto, Musolino non ha vissuto i privilegi dell’appartenenza alla criminalità organizzata. Delinquente criminale, assassino spietato, è di fatto solo come un cane sciolto e va avanti con espedienti. L’interesse che suscita, tra il popolo e nel mondo culturale, soprattutto durante il processo di Lucca è dovuto al suo modo di porsi trasgressivo che ne fa una specie di comunicatore, direi ante-litteram, che lo porta a discutere e a controbattere con i magistrati che lo devono giudicare., come dire la fascinazione del brigante. Non è un caso se Pascoli e Totò gli dedicano dei versi, non è un caso se un musicista famoso come Giacomo Puccini vuole assistere ad alcune udienze presso il tribunale di Lucca; non è un caso se anche il Corriere della Sera acquista poesie scritte dallo stesso Musolino, che vengono comprate anche dal quotidiano Il mattino. Un personaggio che intriga ma che, a quanto risulta dalle approfondite ricerche da me condotte, non ha goduto di coperture particolari. Ridurre Nusolino ad un fantoccio di ‘ndrangheta è fare un torto alla storia.
E prendendo spunto proprio dalla storia di Musolino, Norman Douglas in Vecchia Calabria, pubblicato la prima volta nel 1915, fa un’analisi spietata della giustizia italiana. Questo eclettico signore straniero amava l’Italia e particolarmente la Calabria, che ha visitato diverse volte tra il 1907 e il 1911, proprio negli anni in cui si svolge la vicenda del brigante d’Aspromonte, al quale titola il capitolo “Musolino e la legge”. Douglas, dunque, è persona al di sopra di ogni sospetto di appartenenze di parte e di politica, ma attento osservatore della realtà del quotidiano.
Leggiamone qualche stralcio ; “..Che i giudici debbano essre dei signori pagati bene, e consapevoli dei propri doveri verso la società; che i carabinieri ed altri rappresentanti dell’ordine debbano essere civilmente responsabili dei danni recati al pubblico; che una legge di habeas corpus potrebbe essere vantaggiosa qui come fra certi selvaggi del nord; che il sistema orientale dei rinvii porti alla corruzione di funzionari pagati male e di testimoni ( per non parlare dei giudici )- insomma che il metodo seguito laggiù sia fatto apposta per generare piuttosto che per reprimere il delitto, sono verità troppo elementari per entrar nella testa dei retori megalomeni che controllano il destino del paese……L’istituto del domicilio coatto è in verità una di quelle cose che sarebbero incredibili se non esistessero. E’ una scuola, una scuola sotto egida statale, per la coltivazione della delinquenza. Ma che cosa aspettarsi di diverso? Dove i giudici singhiozzano come bambini e i giurati svengono per eccesso di sentimentalismo; dove fiumi di retorica tengono il posto degli interrogatori con contraddittorio e degli affidaviti debitamente giurati; dove la menzogna è un fallo umanamente veniale e quasi lodevole. La retorica, solo la retorica, decide di una causa in tribunale…..E il codice italiano che suona come una bella fiaba e agisce come una furia, è il peggiore che l’ingegno umano possa partorire…..Da un lato v’è un diluvio di disquisizioni sottili sulla giurisprudenza, la responsabilità personale e così via; dall’altra quella sinistra idiozia chiamata legge, sinonimo di chiacchiera, corruzione, idee paleolitiche sulla natura delle prove testimoniali, e una procedura che fa pensare nell’ipotesi migliore a Gilbert e a Sullivan…..Ho parlato della buffoneria della giustizia italiana; avrei potuto chiamarla una farsa.
Non soffrono dell’usura del tempo queste considerazioni e potrebbero essere scritte pari pari oggi, qui e ora.
Quale il ruolo della giustizia, dunque?
In un Paese retto da un sistema democratico con la suddivisione dei tre poteri, quello giudiziario dovrebbe essere il potere nobile, che dovrebbe sovrintendere gli altri due, il legislativo e l’esecutivo, per garantire proprio la democrazia.
Premesso che in Italia ci sono troppe leggi, che come diceva un certo Platone sono un danno enorme per la democrazia, personalmente sono stupefatta perchè molto ma molto raramente la verità di un atto criminoso viene fuori da un processo. E dopo anni e anni di indagini, spesso il giudice alza bandiera bianca e fa outing dichiarandosi incapace di giungere ad una soluzione giudiziaria delegando ai giornalisti la ricerca della verità. Ustica, Falcone e Borsellino sono solo, purtroppo, alcune dolorose tragedie insolute. Di fatto molti crimini ci vengono raccontati attraverso romanzi o film, mentre i colpevoli sono sempre immuni.