Sono una cittadina italiana, ho avuto la fortuna di nascere in un paese bellissimo, S.Stefano in Aspromonte, nella collina dell’Appennino Calabrese; un luogo incantato, da dove posso ancora abbracciare in un unico sguardo un paesaggio fantastico che comprende l’Etna e il mare dello Stretto di Reggio e Messina. Risiedo a Reggio Calabria ,dove vivo da molto tempo. Ho studiato tra Reggio e Messina,dove mi sono laureata in Scienze Politiche, quando già lavoravo in banca, che ho lasciato quando ero una donna in carriera. Vivo in famiglia,con mio marito e tre figli che studiano,mi occupo di ricerca storica e mi piacciono i lavori femminili. Amo leggere e sono molto curiosa ,caratteristica che mi spinge a cercare il perchè di ogni cosa. Ho chiamato con il nome di “sasso” il mio blog perchè mi piacciono le pietre,che considero un elemento vivo del nostro pianeta; credo che se potessimo decodificare il loro linguaggio,potremmo conoscere tutta la storia dell’umanità, della quale i sassi sono testimoni imparziali. Il sasso,poi, può stare in una mano a trasmettere l’ energia della quale è carico; può essere lanciato ,metafora di un’ idea, può formare dei cerchi concentrici e dei vortici, simbolo della circolarità e profondità del pensiero,e può anche far male ,come per dire che nella vita non son tutte rose e fiori. Nel percorso del mio vissuto ho avuto sempre presenti alcuni valori assoluti, che credo siano nati con me : il bisogno di libertà e della ricerca della verità: so bene, come insegna Erodoto, che la verità oggettiva soffre dell’ interpretazione dei suoi referenti; a maggior ragione il mio impegno in questo campo è ancora più forte,cercando di distinguere il sentimento e l’ emozione dalla riflessione critica concettuale. In questo senso mi aiuta un consiglio di Sant’Ignazio di Loyola quando invita ad elevarsi al di sopra degli accadimenti quotidiani per essere superiori alle cose di questo mondo per meglio capirle e metterle nella giusta luce. Sono consapevole che si tratta di un cammino faticoso ,ma è quello che mi dà maggiore soddisfazione morale. Per questa strada mi capita di incontrare persone illustri,come Francesco Petrarca che scala il Ventoux,o Giacomo Leopardi che si volge all’Infinito,oltre il muro e la siepe. Credo ,ancora,sia importante confrontarsi con gli altrii e per farlo sono molto disponibile all’ ascolto e cerco di immedesimarmi nell’ altro per meglio capirne il punto di vista ,questa volta scomodando Voltaire.Sempre ho cercato di fare leva sulle ali di sempre del bello,del giusto e del vero.
Questi forti versi di Boris Pasternak descrivono bene il mio carattere
In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.
Sino all’ essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.
Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini , degli avvenimenti,
sentire,amare, vivere, pensare
effettuare scoperte.
Mimma Suraci
Gentile Signora,
nel testo seguente mi sembra che mi sia venuto molto bene ol passaggio sulla SINTROPIA. Glielo mando per inziare una discussione su ENTROPIA e SINTROPIA, che credo di poter trattare con qualche risultato. Se mi dice come posso fare per inviarLe immagini Le racconto la “storia” della RANA CROCIFISSA, esposta al (nuovo) Museion, che un vero scandalo ha suscitato qui a Bolzano.
Complimenti per la Sua presentazione. Cordiali saluti.
totosant
Bolzano, 5 giugno 2008
Gino Vocino mio lontano parente (pronipote di… un
prozio di mio padre, boh?) è uno degli ultimi allievi
viventi, o forse proprio l’ultimo, del Professor Luigi Fantappiè (1901/1956), il grande matematico di Viterbo, che negli anni quaranta ci ha dato la teoria [o la legge] della “sìntropia”.[www.fantappie.it]
L’ho incontrato per la prima ed unica volta mol_
ti anni fa quando insegnava ancora matematica in
un liceo di Roma ed alle mie domande sull’“entro_
pia dell’informazione, l’entropia dell’arte (non
ignota a tanti critici dell’arte) e la negh-entro_
pia secondo Brilluin (propria del mondo biologico)”
mi ha detto più o meno quanto segue (cito a memoria).
1) Sono praticamente la stessa cosa, perché al
contrario dell’“entropia” del mondo materiale circostante che segna il passaggio dal più complesso al più semplice, da un punto in cui c’è un qualcosa più concentrato o in quantità maggiore ad altri in cui quel qualcosa è meno concentrato o in quantità minore [es. le cariche elettriche in una batteria, l’acqua di un bacino artificiale] ed anche da sostanze più nobili e strutturate [es. gli alimenti] a sostanze meno nobili e meno strutturate [es. la “monnezza”], l’“entropia dell’informazione, dell’ arte e del mondo biologico” caratterizza i passaggi dal più semplice al più complesso. Queste forme di “entropia” (secondo mio cugino, e secondo me, se mi è consentito) le possiamo far rientrare tutte nella “sìntropia” di Fantappié.
2) Si capisce ancora meglio se consideriamo che
l’”ENTROPIA” va dalle cause agli effetti ed ha il
“MOTORE” nel passato, mentre la “SINTROPIA” il “MO_
TORE” ce l’ha nel futuro e va dai progetti ai risultati. I fenomeni “sìntropici”, poi, sono molto più coinvolgenti di quelli “entropici”: la “monnezza” gli ecologisti, i “verdi”, i “no-global”, i “black-bloc” ecc. la possono differenziare e riciclare quanto vogliono ma, certamente, non si faranno mai coinvolgere fino al punto di ripulire le strade.
Allora, quando ci si metterà a parlare di“sintropia di un’opera d’arte” sarà più facile capire perché un’opera d’arte non è soltanto una “cosa”, un’ “elaborazione materica” o un “insieme” da attaccare al muro o da disporre qua o là in uno spazio; ma un qualcosa che coinvolge inevitabilmente l’“opera”, l’artista e chi si ferma a guardare. Parecchia gente, dal Presidente Durnwalder in giù fino agli Shuetzen, pare che sia rimasta non soltanto coinvolta dalla “Rana crocifissa”, ma addirittura scioccata. Se proprio occorre, chiamiamo Vittorio Sgarbi e discutiamo con lui sul fatto che l’“opera” di Kippen berger (o Kippenfrogger?) sia o non sia un’opera ad “alta sìntropia”! Mentre con l’architetto Carlo Sarno, esperto di arte religiosa, [www.carlosarno.it] andremo ad investigare le cause per cui l’arte sacra è al tempo stesso escatologica e“sintropica”. La “Rana verde” del Museion nel suo piccolo significati escatologici sul destino ultimo dell’Uomo, a mio modesto avviso, ce li ha. Magari di straforo, ma mi sembra pur’essa arte religiosa: quando un uomo è Uomo e quando diventa ranocchio?
Quello che serve non è certamente “spiegare l’arte”, come suggerisce l’assessore Kaslatter Mur, ma parlarne. Né tantomeno serve l’interpellanza alla Camera dell’On. Biancofiore fatta per entrare in una improbabile batracomiomachia. Alla quale, alla Biancofiore, in quanto eletta in un collegio campano chiedo un’interpellanza sul genocidio dei meridionali (1.000.000 morti) del Regno delle Due Sicilie. Tanto per intenderci, sul modello di quella presentata nel marzo del 1991 dall’On. Angelo Manna [www.angelomanna.it ].
Grazie dell’attenzione. Cordiali saluti.
Salvatore Santamaria
Salvatore Santamaria via Bergamo 2.56 Bolozano [0471/913.772 C. 340.3408916]
Gentile Signore,
la ringrazio per le considerazioni molto specifiche ed erudite. Conosco in qualche modo la teoria di Fantappiè su entropia e sintropia, che discendono dall’ equazione di D’ Alembert e indicano due soluzioni di segno opposto ma che coesistono in tutti i fenomeni fisici e comunque naturali. Forse che nei processi storici dell’ umanità e nella fattispecie del nostro territorio hanno contribuito a confondere la verità perchè i principi ai quali si riferiscono sono stati male interpretati e male utilizzati?
Saluti
Gentile Signora Suraci,
a proposito di sassi… La settimana scorsa abbiamo accompagnato una nostra cara amica (la Giovanna, 80 primavere) alla pensione SASS RIGAIS (dal ladino, SASSO RIGATO), ai piedi delle ODLE che sono piene di SASS che più non si può (oltre al SASS RIGAIS, ci sono il SASS DA L’EGA -come dire il Sass dell’aqua- il SASS DI PUTIA, il SASS DE CIAMPAC, il SASSHONGER… e c’è pure la PIZZA -il Pizzo- e la… FURCHETTA! -la Forcella-). Dopo una veloce colazione
-a base di polenta con i funghi e strudel di mele- abbiamo
preso il sentiero che dalla base del Parco naturale porta al rifugio Firenze, per fare i soliti quattro passi (due ore e mezza sono durati l’andata e ritorno) e soprattutto per far sì che mia moglie e la Giovanna inaugurassero i bastoni da “nordik walking”. Arrivati al punto in cui il sentiero del Firenze incrocia il sentiero che, procedendo per il ghiaione, fa tutto il giro delle ODLE ed entra in Val Gardena ci siamo fermati per guradarci un po’ attorno: sopra di noi c’era quella cattedrale di roccia che sono le ODLE, sotto il panorama della Val di Funes nella sua quasi totalità ed a
destra il sentiero-ghiaione, di cui ho già detto. Al momento del ritorno ho preso un sasso e tenendolo in mano mi son messo a dire: “Vedete questo sasso… una volta era… montagna!” “Buona notte!” fa mia moglie “adesso questo
comincia a parlare di ENTROPIA!
Bè, non è che ci vuole molto. Jeremy Rifkin, il guru degli ecologisti americani, ha scritto che tutto è ENTROPIA. Basta
guardare le cose in una certa maniera. Per farla breve, le ODLE hanno la bella età di 10 milioni di anni; per diventare come oggi le ammirano i turisti hanno perso per erosione, crolli, frane e disfacimenti milioni e milioni di m.cubi di roccia, chesono finiti nel ghiaione che adesso le circonda per intero, dalla Val di Funes alla Val Gardena. Che cosa dice il Rifkin nel suo libro intitolato ENTROPIA (Mondadori)? “(…)L’acqua scende dai monti al mare: e questo è un fenomeno entropico”. Ed allora, anche le pietre, le frane, i ghiaioni vanno dai monti alla valle: e questa degradazione strutturale è pur’essa un fenomeno entropico.
Nella Val Fiscalina (“fisc” in una parlata locale preromanica
significa frana), una valle laterale alla Val Pusteria, l’anno
scorso c’è stata una frana di oltre 50.000 m.cubi di roccia
che si è addirittura polverizzata imbiancando una paio di Km.
quadrati di territorio sottostante, case, alberghi ed auto dei
turisti compresi. Ebbene, quast’anno del polverino bianco non c’è più traccia: spazzato dagli albergatori, dilavato dalle piogge; mentre il materiale più grosso si aggiunto al ghiaione anche la raccoltosi ai piedi del monte da cui si staccò la frana.
Molto più interessante può essere una discussione sui SALTI ENTROPICI, così come sono stati descritti dal Prof.
Rifkin. Ne potremo parlare più in là. Cordiali saluti.
nonno totò
Ps. Mettere in un motore di ricerca: LE ODLE, GRUPPO PUEZ-ODLE, VAL DI FUNES per avere le immagini di montagne
dolomotiche, piene di… Sass.
Trentino Alto Adige: Le Odle, le “Dolomiti più Dolomiti …
TrekEarth | The Odle Photo
Squarciomomo: Le Odle d’inverno
Gruppo Odle Puez, rifugi sentieri itinerari
PS. Correggo un errore di orientamento.
Le ODLE sono orientate ad oWest/sud-oWest perche al tramanto diventanodi tutti i colori che vanno dal giallo, all’indaco, all’arancione; quindi con le spalle a Sud per avere la Val di Funes davanti il sentiero sul ghiaione è a sinstra=oWest. Ciao. totò
ECCO UN MODO CIVILE DI DISCUTERE DI VECCHIE STORIE.
silvio garibaldi
di Oscar Giannino
Pubblicato il giorno: 13/08/2008
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allanemadapalla ha detto…
14/08/08 11:40
IL GENOCIDIO DEI MERIDIONALI: 1.000.000 DI MORTI E 24.OOO MILIARDI DI DANNI [stima attuariale in £]
Ehi bella gente! (i GIANNINO, i FELTRI, i SAVOJA, i BERLUSCONI, ecc.) non continuate a coglionare i Meridionali con le vostre truffe storiografiche sul cosiddetto risorgimento e sulla cosiddetta unità d’Italia. Un pò di onestà intellettuale dopo centocinquant’anni di vergognose falsità non guasterebbe. Salvatore FINI, il mio professore di storia e filosofia del liceo, di tanto in tanto ed a umma a umma, buttava lì un mezzo sfottò: QUANDO VI FARETE GRANDI LA STORIA VE LA FARETE VOI. Tanto che una volta il Pierino della classe sbottò: E CHE SIAMO PICCIRILLI, ADESSO?! Si dà il caso che nell’elenco dei processati dopo la rivolta antisavojarda di San Giovanni Rotondo dell’ott/nov. del 1860 (14 fucilati dai GARIBALDINI per ristabilire l’ORDINE ed affrettare il PLEBISCITO) ci sia anche il cognome FINI. Il PROFE era di S. Giovanni Rotondo. Come pure, in un breve elenco di BRIGANTI della CAPITANATA passati per le armi ci sono quelli di D’ALESSANDRO, MASCOLO, MANDUZIO, VOCINO che sono i cognomi di miei antenati, di Sannicandro Garg. e paesi limitrofi (la mia nonna paterna si chiamava Leonarda MASCOLO). E come vedete, o lustrissimi, non sono quelli degli antenati dei BERLUSCONI, BOSSI, SAVOJA, FELTRI, GIANNINO, MARCHIONNE, AGNELLI, PIRELLI… o di un qualche TSCHURTSCHENTHALER del Sud-tirolo!
Perciò, smettiamola con le solite cazzate risorgimentali. Per i 150 d’Italia, la REPUBBLICA, nata dalla RESISTENZA ed assettatasi al QUIRINALE, ISTITUISCA una COMMISSIONE d’INCHIESTA per dire una buona volta LA VERITA’ sul RISORGIMENTO (che per i NAPOLITANI fu DEFUNGIMENTO). VERITA’ che potrà piacere e non piacere, ma che è l’unica strada per non continuare ad offendere i Meridionali (come dire, più del 50% popolazione italiana, comprendendo quelli che sono rimasti al Sud e quelli che sono emigrati al Nord)
-OGGI 14 agosto CADE IL 147esimo ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI PONTELANDOLFO: 1500 MORTI TRUCIDATI A FERRO E FUOCO DALLA SOLDATAGLIA del Col. Pier Eleonoro NEGRI (nativo di Vicenza non certo di Corleone!) COME E PERCHE’ NON SI PUO’ ERIGERE, A PONTELANDOLFO (BN), COME CHIESTO PIU’ VOLTE, UN MONUMENTO AI MARTIRI BORBONICI (fra i quali, dicono, c’è anche il bisnonno di MASTELLA…)? COME E PERCHE’ NESSUN PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA HA MAI RISPOSTO ALLA PETIZIONE POPOLARE INOLTRATA DAI PONTELANDOLFESI? E dal 1971, anno della presentazione (Pres. il NAPOLETANO Giovanni Leone!)-
abbasso I SAVOJA, I GARIVOJA, I CAVOJA, I D’AZEGLIOJA, ecc.. viva FRANCESCO II e MARIA
SOFIA von WITTELSBACH (la sorella di Sissi), ANDREAS HOFER ED ANTONIETTA DE NISI, L’INSORGENTE DI San Severo (1799)!
totòsant. da bolzano
fonty ha detto…
14/08/08 15:49
Garibaldi eroe o mercenario?
Dice allamenadapalla che al Sud ci sono stati massacri delle popolazione locali da parte dei Garibaldini e poi dell’esercito reale dei Savoia.E’ tutto vero, ma sa quanti soldati regolari sono stati ammazzati dai cosiddetti briganti (anche i nazisti chiamavano banditi i partigiani) che non accettavano l’annessione forzata,con i preti in testa alle rivolte? Sono morti più soldati nella repressione al Sud che in tutte e tre le guerre d’indipendenza,lo dice la storia. Questo la dice lunga sulla cruenza degli scontri,e succede sempre e dovunque quando si vuole annettere con la forza vari popoli,oltretutto diversi per tradizioni,mentalità,usi e costumi.L’errore di Garibaldi,è stato questo,proprio lui che in Sudamerica combatteva per la libertà dei popoli.Invero,Cavour era contrario all’annessione, Vittorio Emanuele nicchiava,ma poi,visto che gli si offriva il regno Borbonico su un piatto d’argento, e forse anche per i citati dobloni d’oro del banco di Napoli,fu cosa fatta.Sicut et simpliciter. Questi fatti,sono il peccato originale delle dispute ormai croniche tra Nord e Sud. I sudisti,dicono:il Nord ci ha depredato,ci avete usato come discarica,(in tutti i sensi),siete dei barbari polentoni,ecc. ecc..I Nordisti,dicono:noi vi manteniamo da più di cento anni,siete dei terroni mangiacicoria, avete invaso il nord,siete italiani presi con il fucile (di garibaldi)ecc.ecc.La verità che emerge dopo più di cento anni,è che Garibaldi,aizzato sembra dall’Inghilterra,che lo ha pure finanziato,doveva restarsene in Sudamerica o a Nizza. Il Meridione poteva essere annesso alla nascente Italia,solo tramite referendum popolari,come è avvenuto per il Veneto e L’Emilia.Tutto doveva avvenire in maniera pacifica e volontaria,onde evitare futuri rancori e rivolte. Ma tant’è,con i se e i ma non si cambia la storia,che ormai è questa.La migliore soluzione,a mio parere,sarebbe di creare un Italia federale,come voleva Mazzini e sembra anche Garibaldi,dove tutte le regioni siano realmente autonome e indipendenti,ma unite in uno stato federale,come succede nella vicina Svizzera,magari unendo più territori omogenei a mò di macroregioni.Per chiudere,non ho capito cosa c’entri il Sudtirolese Andreas Hofer (che si era ribellato ai francesi di Napoleone e fu da questi giustiziato a Mantova),con le argomentazioni del post. Cordialmente.
OSIMO – IL TRATTATO SURREALE
Nella storia dei popoli e degli Stati esistono eventi che non è possibile rimuovere dalla memoria: da un lato, per gli effetti immediati di natura politica ed economica, e dall’altro, per le conseguenze che, unitamente alle loro matrici, vanno a determinare sugli orientamenti decisionali, e sullo stesso inconscio collettivo. Il trattato di Osimo non fa eccezione, né potrebbe essere diversamente, perché ha costituito una novità davvero surreale nella storia delle relazioni diplomatiche: non era mai accaduto che uno Stato sovrano rinunciasse alla sovranità su una quota significativa del proprio territorio, senza alcuna contropartita, come accadde nella fattispecie.
La firma ebbe luogo 33 anni or sono, e precisamente il 10 novembre 1975, da parte del Ministro degli Affari Esteri Mariano Rumor e del suo omologo jugoslavo Milos Minic, in un clima di frettolosa segretezza, motivata da ragioni di opportunità politica che intendevano nascondere alla pubblica opinione un evento non certo accettabile sul piano giuridico, e meno che mai su quello etico. Del resto, anche le trattative erano state condotte in analoghe condizioni di riservatezza, quasi da consorteria, ed il Governo italiano le aveva affidate, anche nella fase conclusiva, a soggetti sostanzialmente inidonei, perchè estranei al mondo diplomatico. Non era mai accaduto!
Con Osimo, l’Italia volle trasferire alla Jugoslavia la sovranità statuale sulla cosiddetta Zona “B” del Territorio Libero di Trieste, che non era mai stato costituito con atto formale, sacrificando altre migliaia di cittadini, costringendoli a prendere le vie dell’esilio in aggiunta ai 300 mila che li avevano preceduti al termine delle vicende belliche, e sottoscrivendo il trasferimento alla Repubblica federativa di un’area pari al tre per mille del territorio italiano, su cui insistono aggregati urbani importanti come quelli di Buie, Capodistria, Pirano, Portorose, Umago. Naturalmente, la responsabilità politica, al di là di pur giustificati dubbi sulle reali competenze dei plenipotenziari italiani, guidati da un dirigente del Minindustria, fu soprattutto del Governo, e con esso, del Parlamento che ebbe a ratificarne l’operato, sia pure con diffuse sofferenze.
Oggi, ad un terzo di secolo da Osimo, è congruo fare il punto sulle ragioni che indussero determinazioni tanto opinabili, in una prospettiva storica per quanto possibile oggettiva, ma nello stesso tempo, in un’ottica di inevitabile “contemporaneità”, tanto più che la prassi “osimante” fece scuola, si tradusse in ulteriori cedimenti di carattere politico ed economico, e pervenne, quale effetto di rilievo maggiormente visibile, al riconoscimento delle nuove Repubbliche indipendenti di Croazia e Slovenia, sorte all’inizio degli anni novanta dalla dissoluzione jugoslava: anch’esso, come il trattato del 10 novembre 1975, senza alcuna contropartita. Eppure, i problemi sul tappeto, molti dei quali lo sono tuttora, non erano di scarsa consistenza: anzi tutto, il riconoscimento della verità storica, e poi, la tutela dei monumenti e delle tombe italiane oltre confine, la sorte dei beni immobili già appartenenti agli esuli, il regime delle acque territoriali, gli accordi per la pesca in Adriatico, e così via.
Evidentemente, la storia non è maestra di vita, perché altrimenti non si commetterebbero gli stessi errori del passato. Nondimeno, l’analisi delle motivazioni che indussero Osimo, e delle conseguenze che ne derivarono a breve e lungo termine, è ugualmente importante: se non altro, perché risulta utile a collocare i problemi di oggi in una dimensione storica esauriente, ed a riconoscere nella politica estera italiana verso la Jugoslavia ed i suoi eredi la continuità di una posizione di “debolezza e di scarsa coscienza nazionale” (1).
1.- Il quadro di riferimento
Alla metà degli settanta, quando il trattato di Osimo divenne realtà dopo un lungo periodo di incubazione, le condizioni politiche internazionali, ed a più forte ragione quelle interne, erano mature per l’evento. Nel quadro mondiale, il primo maggio 1975 si era conclusa la guerra vietnamita con l’abbandono di Saigon da parte delle forze statunitensi, ma già da diversi anni la politica di “non allineamento” del Maresciallo Tito, Presidente a vita della Jugoslavia, era stata premiata dalle attenzioni dell’Occidente, culminate nella visita di Stato che il Presidente americano Nixon gli aveva reso a Belgrado sin dal 1971, nonostante la negazione dei diritti umani da parte del regime, che nello stesso periodo aveva condannato a sette anni di carcere duro un intellettuale dissidente, Mirko Vidovich, responsabile di avere scritto alcune poesie critiche nei confronti del dittatore, e nulla più.
Sempre nel 1971, Tito era stato ricevuto in Vaticano da Papa Paolo VI assieme all’ultima moglie Jovanka, completando il processo di riavvicinamento alla Santa Sede che era iniziato un quinquennio prima, con la ripresa delle relazioni diplomatiche. La posizione jugoslava, collocandosi in un ruolo apparentemente equidistante da Mosca e da Washington, acquisiva crescente credibilità, resa più accentuata dalla tensione col regime dei colonnelli greci che sarebbe crollato nel 1974, e dall’eliminazione in pari data di un gruppo sovversivo di ispirazione nazionalista. Tito valorizzava al massimo la sua “leadership” nel movimento dei Paesi non allineati, che giunsero ad un massimo di 44, ma con la sola Jugoslavia a rappresentarvi il continente europeo, e non trascurava di polemizzare con presunte “organizzazioni irredentiste e revansciste” italiane, sollecitando nei loro confronti un impegno a tutto campo e trovando fertile ascolto anche a Roma.
In Italia si vivevano momenti difficili. Nel 1975 persero la vita non meno di dodici vittime degli “opposti estremismi”, tra cui gli studenti di destra Mikis Mantakas e Sergio Ramelli, e la brigatista Mara Cagol, compagna di Renato Curcio. Il Presidente Leone, poche settimane prima di Osimo, indirizzò un messaggio al Paese per invitarlo a fare quadrato contro le difficoltà dell’ora, in un clima di forte disagio che aveva già visto il notevole successo del Partito comunista nelle elezioni amministrative di giugno, tradottosi in un avanzamento di oltre cinque punti, e non era stato estraneo all’abbassamento della maggiore età a 18 anni votato in marzo, ed al nuovo diritto di famiglia diventato legge in aprile con la sola opposizione di liberali e missini. Intanto, Pacciardi e Sogno proponevano l’avvento di una Repubblica presidenziale come possibile rimedio al male oscuro dell’Italia, tristemente simboleggiato, in autunno, dal delitto del Circeo e dall’uccisione di Pier Paolo Pasolini.
In queste condizioni, la politica di solidarietà nazionale che aveva coinvolto il Partito comunista nell’area di governo ebbe buon giuoco nell’incentivare, e poi nell’accelerare le trattative che condussero ad Osimo: il 20 giugno, Tito avrebbe incontrato a Brioni il Segretario del PCI, Enrico Berlinguer, tanto che più tardi fu possibile affermare, al di là della riservatezza a cui fu improntata la visita, come fossero stati costoro i firmatari sostanziali del trattato. L’eco si spense presto, nonostante il diluvio di retorica che fu carattere ricorrente nel dibattito parlamentare di ratifica ma che non avrebbe impedito alla maggioranza, irrobustita da una sinistra oltremodo compatta, di giungere ad una rapida approvazione, contrari i soli missini ed alcuni dissidenti, tra cui i democristiani Barbi, Bologna, Costamagna e Tombesi, il liberale Durand de la Penne ed il socialdemocratico Sullo (2), e soprattutto, con l’assenza tattica di parecchi senatori e deputati che non avevano avuto il coraggio di uscire allo scoperto, mentre la DC ebbe quello di deferire ai probiviri coloro che si erano dissociati dalla disciplina di partito.
2.- Effetti e prospettive
Gli accordi di Osimo, che assieme al trattato vero e proprio comprendevano intese sulla cooperazione economica, la cittadinanza, i beni culturali ed il traffico di frontiera (3), rimaste in buona parte sulla carta, produssero vibranti e documentate proteste nell’ambito giuliano, e più specificamente in quello triestino, con motivazioni di forte spessore non solo sul piano etico-politico, ma prima ancora su quello giuridico, che sottolinearono una lunga serie di inadempienze, se non anche di illegalità, donde la richiesta al Presidente della Repubblica di non controfirmare la legge di ratifica; istanza che venne respinta. Il trattato avrebbe potuto essere impugnato per ragioni di diritto internazionale, ma anche costituzionale ed amministrativo, puntualmente evidenziate (4), ma non fu privo di correlazioni penali, potendosi ravvisare nell’approvazione dei suoi disposti il reato previsto dall’art. 241 c.p., laddove si puniva con l’ergastolo “chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio od una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero”.
Le condizioni politiche dell’epoca non erano tali da ipotizzare l’apertura di un procedimento in tal senso, ma la violazione della legge rimane un fatto oggettivo, senza dire che nella fattispecie si tratta di un reato imprescrittibile, a prescindere dalla depenalizzazione dell’alto tradimento che sarebbe sopraggiunta in tempi più recenti (5).
Nel 1975 la congiuntura italiana era ben diversa da quella del 1947, quando aveva dovuto subire il “diktat” ed i limiti della propria delegazione alla Conferenza della pace, non meno significativi dell’intransigenza alleata. Ora, l’Italia era nuovamente un’importante potenza industriale, con fondamentali di gran lunga superiori a quelli jugoslavi, ma ciò non fu sufficiente, e Tito riuscì a realizzare il suo ultimo capolavoro, cui non fu estranea la “cupidigia di servilismo” che Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando avevano bollato con nobili parole durante la discussione per la ratifica del trattato di pace. Gli effetti non tardarono a manifestarsi: la fuga a Belgrado del terrorista Abu Abbas promossa da Craxi, l’omaggio di Pertini alla bandiera con la stella rossa, e l’uccisione del pescatore Bruno Zerbin nel golfo di Trieste ad opera di una motovedetta jugoslava, furono episodi tristi, a cui avrebbe fatto seguito, come si diceva, il riconoscimento senza contropartite di Croazia e Slovenia.
Il trattato di Osimo è rimasto inattuato in diverse statuizioni, talvolta grottesche se non anche inconcepibili sul piano economico, come la realizzazione della Zona industriale mista sul Carso, o la costruzione di una gigantesca idrovia dall’Adriatico al Danubio, basata su un sistema di chiuse faraoniche per il superamento di enormi dislivelli. Il rigetto fu dovuto soprattutto a due ragioni: in primo luogo, la forza delle contestazioni locali, ed in particolare della “Lista per Trieste” (che conseguì la maggioranza dei voti alle prime elezioni nella città di San Giusto), vessillifera di una nuova autonomia in chiave nazionale; e poi, perché la crisi jugoslava, deflagrata rapidamente dopo la morte di Tito, avrebbe impedito il perseguimento degli obiettivi di Osimo, limitandone l’effetto principale, e comunque determinante, al trasferimento della sovranità sul territorio della Zona “B”.
Le conseguenze sono state evidenti, come detto, sul piano socio-politico, e poi anche su quello economico, attraverso una serie di protocolli che raggiunse un livello emblematico nel forte supporto finanziario offerto dal Governo Goria a quello di Branko Mikulic all’inizio del 1988, e nell’accantonamento di motivate attese degli esuli giuliani e dalmati circa la questione dei beni “abbandonati”, ma ad un tempo, in materia di difesa dei valori culturali e spirituali sacrificati alla logica dell’interscambio, con cui, al contrario, potrebbero utilmente convivere, in base ai principi fondamentali di una vera ed effettiva cooperazione internazionale.
3.- Conclusioni
Ad oltre un trentennio di distanza, si può e si deve affermare che “il trattato di Osimo fu un errore” (6), se non anche un reato perseguibile a termini di legge, basato sulla fallace presunzione che la Jugoslavia rimanesse protagonista sul proscenio internazionale, come leader dei Paesi non allineati, e sulla difficoltà di prevedere che si sarebbe dissolta in una giustapposizione di Stati minori; ma prima ancora, sulla cronica carenza di una politica estera di ampio respiro, e di un ruolo realmente propositivo nello scacchiere balcanico.
Il trattato aveva nella sua stessa genesi le matrici di una condanna formale e sostanziale, e si illudeva di trovare nella Repubblica jugoslava un interlocutore privilegiato per il solo fatto di avere pianificato la cosiddetta via nazionale al socialismo, fondata sui fasti dell’autogestione, che avrebbero condotto al disastro. Ciò, al pari di un’ipotetica collaborazione interclassista che non poteva basarsi sull’annullamento talvolta fisico delle opposizioni in campi di prigionia tristemente famosi, o sulle surreali condanne di sacerdoti che avevano dato alle stampe una piccola immagine sacra, evidentemente difforme dal verbo ancora dominante nello scorcio finale degli anni Ottanta.
Ad Osimo sarebbe stato molto difficile modificare i confini che erano scaturiti dal trattato di pace e dalle rettifiche del 1954, alla luce delle condizioni politiche di cui si è detto, e del potenziale coinvolgimento degli altri Stati che avevano firmato il “diktat” del 1947, ma dopo la dissoluzione della Jugoslavia le prospettive avrebbero potuto essere diverse, se non altro per alcune importanti questioni d’interesse plurimo, come quella delle acque territoriali. L’occasione fu perduta, ed oggi rimane, al massimo, una generica speranza nell’effetto Europa.
Osimo è un “collo di bottiglia” ormai irreversibile, non meno di quanto si possa dire per il trattato di pace. Tuttavia, prescindendo dalla valutazione delle responsabilità, ed inquadrando lo stato delle cose in una prospettiva che vede la cristallizzazione degli accordi stipulati nel 1975, quando avrebbero potuto tradursi da istituti di diritto internazionale venuti meno per la scomparsa di uno dei contraenti, in semplici riferimenti per nuove ipotesi d’intesa, si può concludere con l’antico saggio: al di là delle apparenze, il fiume della storia continua a scorrere.
Ciò significa che Osimo, ampiamente ridimensionato dalle vicende storiche, ed in primo luogo dall’implosione jugoslava, potrà essere oggetto di riconsiderazione, nella misura in cui le sue permanenti lacune di legittimità e di equità inducano valutazioni costruttivamente consapevoli nella Casa comune europea, ma prima ancora negli ambienti giuliani ed istriani, e nelle forze politiche da cui hanno mutuato nuove attenzioni con l’approvazione pressoché unanime della legge che istituisce il “Giorno del Ricordo” (fissandolo nel 10 febbraio, quale anniversario del trattato di pace).
E’ sempre valido, anche nella fattispecie, il pensiero di Benedetto Croce, secondo cui la linea del possibile si sposta grandemente grazie “all’audacia ed alla forza inventrice della volontà che veramente vuole”.
Annotazioni
1.- Lucio Caputo, Trattato di Osimo: l’unica speranza è nell’effetto Europa, in “Il Giornale”, Milano, 27 settembre 2005. Le carenze della politica estera italiana nei rapporti col mondo balcanico hanno matrici storiche più lontane: basti pensare alle disavventure diplomatiche in occasione delle trattative di pace del 1919, nonostante le condizioni di favore indotte dalla Vittoria, ed a quelle del 1947, quando l’Italia dovette subire il “diktat” sebbene le divisioni tra gli Alleati le avessero lasciato qualche margine di manovra, sia pure circoscritto.
2.- Il discorso del Senatore Barbi pronunciato il 23 febbraio 1977, ed improntato a ragioni morali ancor prima che a pregiudiziali politiche o giuridiche, ebbe particolare rilevanza perché il parlamentare era Presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (cfr. Paolo Barbi, La rinuncia di Osimo, Edizioni AGI, Roma 1977); Barbi, peraltro, non sarebbe stato presente al momento del voto. Non meno significativa fu l’opposizione di Fiorentino Sullo, uomo di sinistra, che volle protestare per l’affrettata segretezza e per il mancato coinvolgimento delle Commissioni Affari Esteri di Camera e Senato, senza dire che suo padre “aveva combattuto sul Carso e sul Pasubio” e che gli sarebbe parso di “tradirne la memoria se avesse votato per il Governo”.
3.- Per un esame sistematico dei testi, corredato da una lunga introduzione (orientata a favore della tesi minoritaria secondo cui la soluzione del problema confinario sarebbe stata predeterminata), cfr. Manlio Udina, Gli accordi di Osimo: lineamenti introduttivi e testi annotati, Edizioni Lint, Trieste 1979. Per un’analisi critica delle cause di lungo periodo che condussero ad Osimo, e delle sue conseguenze, cfr. Carlo Montani, Il trattato di Osimo, Edizione Risma, Firenze 1992.
4.- Lino Sardos Albertini, Il trattato di Osimo: richiesta al Capo dello Stato di negare la ratifica, Trieste 1977. Il rifiuto non venne motivato, ma traeva evidenti origini dalla “politica di debolezza e di scarsa coscienza nazionale” perseguita da anni, e ben dimostrata, alla fine, dal dibattito parlamentare di ratifica. E’ il caso di aggiungere che il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, garantì alla delegazione triestina il rinvio della legge di ratifica, mentre la firma era già stata apposta poche ore prima!
5.- La depenalizzazione dell’alto tradimento è stata approvata nel febbraio 2005 con una larga maggioranza trasversale, assieme a quella di altri reati, tra cui l’oltraggio alla bandiera, declassato a semplice illecito sanabile in via amministrativa. L’alto tradimento, reato per cui la legislazione precedente, in vigore all’epoca di Osimo, prevedeva la pena dell’ergastolo, è diventato punibile, salvo eccezioni, con dieci anni di reclusione.
6.- Lucio Caputo, Trattato di Osimo: l’unica speranza è nell’effetto Europa, op. cit., Milano, 27 settembre 2005. In effetti, la tesi dell’errore, pur suffragata dal carattere approssimativo delle trattative, è alquanto riduttiva: a livello politico, la preparazione del trattato dimostra la volontà dell’Italia di chiudere comunque la partita con la Jugoslavia, sia pure a condizioni lesive del suo buon diritto e della sua stessa sovranità.
CM
Delfino Borroni, l’ultimo Cavaliere
In concomitanza con l’anniversario della seconda redenzione di Trieste, che ricorreva il 26 ottobre, è mancato Delfino Borroni, ultimo reduce italiano della Grande Guerra ed ultimo Cavaliere di Vittorio Veneto (l’onorificenza che era stata istituita nel 1968 per “esprimere la gratitudine della Nazione” a tutti coloro che avevano combattuto per almeno sei mesi). La grande stampa, nella migliore delle ipotesi, gli ha dedicato un trafiletto, ma non sembra giusto voltare una pagina di storia, non soltanto sul piano simbolico, senza alcune riflessioni.
Borroni, che era nato nel 1898, era stato arruolato nel corpo dei Bersaglieri ciclisti, e si era impegnato in aspri combattimenti sull’Altipiano di Asiago, sul Pasubio ed a Caporetto, restando coinvolto nella ritirata fino ad essere catturato dagli Austriaci, ma riuscendo a fuggire e a riunirsi con un battaglione di cavalleria, fino a vivere in prima persona l’epopea della Vittoria. Dopo la guerra, riprese il suo tranquillo mestiere di meccanico, e poi venne assunto in qualità di macchinista dall’Azienda tranviaria milanese, ma coltivava con passione vivi ricordi di combattente, che oggi si trovano anche in rete.
Caporetto, narrava Borroni, era stata l’esperienza peggiore della sua guerra, con il freddo e la fame che facevano da padroni, e come se non bastasse, col frastuono incessante delle granate, e talvolta con gli attacchi nemici supportati dal gas. Durante la battaglia dell’ottobre 1917 rischiò di morire, quando fu colpito al piede da un proiettile, ma venne salvato dal provvidenziale spessore dello scarpone, mentre due commilitoni proprio accanto rimasero sul campo. Delfino amava la vita e chiedeva al superiore perché mandasse proprio lui, che era il più giovane, ad ispezionare il terreno strisciando sotto il filo spinato, ma ubbidiva in silenzio, quando gli veniva risposto che “tutti gli altri hanno figli”.
Non meno toccante è il racconto della prigionia e della rapida fuga. Borroni protestava perché voleva scrivere alla famiglia, priva di sue notizie da sette mesi, ma l’ufficiale austriaco gli disse che non tornava a casa da dieci anni, salvo dargli, subito dopo, un foglio ed una penna. Più tardi, alla fine di un giorno di marcia, accadde che la guardia rumena si addormentasse vinta dal sonno, permettendo a Delfino di fuggire e di incontrare non meno fortunosamente il reparto italiano che provvide a raccoglierlo.
Oggi, l’ultimo Cavaliere è passato alla storia perché ha avuto la ventura di sopravvivere più di tutti e di raccontare con straordinaria lucidità, anche negli ultimi tempi, e persino in televisione, le proprie esperienze belliche. Con la sua scomparsa, la Grande Guerra si trasferisce in una dimensione “universale”, e se così può dirsi, in un patrimonio etico, politico e culturale ormai definitivo, in cui le residue discussioni di strategia militare vengono circoscritte alla sfera accademica (ormai si può dire che Caporetto fu una grande sciagura, ma nello stesso tempo occasione di riscatto, perché indusse una reale unità di menti e di cuori, senza dire del vantaggio determinante offerto dalla riduzione del fronte).
Una parte significativa della storiografia ha visto nella Grande Guerra l’ultimo episodio del Risorgimento, con la liberazione di Trento e Trieste dal dominio austriaco e da un regime che non esitava a utilizzare la forca quale strumento di coercizione dell’irredentismo, come era accaduto nel caso emblematico di Guglielmo Oberdan, condannato a morte dopo un processo alle intenzioni di natura medievale. Tuttavia, nella memoria collettiva resta non meno viva la pregiudiziale del Papa Benedetto XV nei confronti di “un’inutile strage” e la consapevolezza dei sacrifici davvero sovrumani che furono richiesti ai combattenti e di cui quelli di Borroni sono soltanto un esempio, esaltato dal fatto che riguarda l’ultimo superstite, e che nelle sue parole, come in quelle di tanti altri, non è stato mai possibile cogliere alcuna polemica né alcun risentimento.
Nel bene e nel male, la Grande Guerra appartiene a un’Italia che ebbe modo di scoprire nel sacrificio, nella cooperazione e nell’unità indotta dall’esperienza di trincea i valori di un beninteso patriottismo. Al di là delle sue contraddizioni e dei suoi dolori, questo rimane un punto fermo: i quattro anni intercorsi fra il 24 maggio 1915 e il 4 novembre 1918, o fra l’olocausto di Riccardo Di Giusto e Alberto Riva di Villasanta, il primo e l’ultimo Caduto, furono più importanti, al fine di rendere coese le coscienze e le volontà, che non il mezzo secolo già passato dalla proclamazione dell’unità.
Grazie ai combattenti di tutte le armi della Grande Guerra, che oggi si riassume nell’omaggio alla memoria dell’ultimo Cavaliere, l’Italia ha preso coscienza compiuta e irreversibile, dalle Alpi al Mediterraneo, della sua realtà morale di Nazione e di Stato, ancor prima che politica. Con buona pace degli amici del giaguaro, vecchi e nuovi.
cm
Silenzio colpevole
La storia è come il tempo che scorre senza posa, ineluttabilmente. Quella dell’Istria non fa eccezione: ad oltre 60 anni dal trattato di pace sono sempre meno coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la tragedia dell’esodo e delle precedenti persecuzioni, ma ciò non significa che quei fatti non siano accaduti, innescando una catena di dolori e di lutti le cui conseguenze permangono tuttora. Affermare che ogni esperienza, sia pure fortemente negativa, finisce per essere dimenticata, è un giudizio approssimativo e spesso antistorico: non è necessario essere stati Ovidio, Dante o Napoleone per sapere che quella dell’esilio è una pena incancellabile.
Proprio per questo, e per lo “sradicamento” che resta nelle menti e nei cuori degli esuli, sostanzialmente a vita, è giusto tramandarne la memoria: nel caso di specie, non solo per il dramma delle foibe e la diaspora che colpì un intero popolo a seguito dell’invasione, ma ancor prima, per l’esodo dalmata del 1919, indotto dalle decisioni di Versailles circa la spartizione dell’Impero austro-ungarico e la creazione del nuovo Stato jugoslavo; o per le costanti angherie che il Governo di Vienna aveva riservato, sin dall’Ottocento, a giuliani e dalmati.
L’istituzione del Giorno del Ricordo, voluta dal legislatore italiano già dal 2004, ha inteso sopperire alle necessità di onorare le Vittime e di informare gli ignari, sottolineando un pur tardivo impegno istituzionale che peraltro deve essere integrato da quello dei mezzi d’informazione e delle stesse Organizzazioni degli esuli, in chiave di obiettività e di aderenza alla verità storica.
A questo proposito, bisogna dire che l’obiettivo resta ben lungi dall’essere perseguito in modo consapevole ed esauriente. Ad esempio, il 26 ottobre non è stato oggetto di qualsivoglia attenzione preventiva da parte degli stessi “media” locali: eppure, ricorreva l’anniversario della seconda redenzione di Trieste, che ebbe luogo nel 1954, quando il ritorno dei Bersaglieri fu salutato dall’abbraccio di tutta la città, pur straziata dalle vicende istriane e dall’ulteriore spostamento della linea di demarcazione, col sacrificio di altre migliaia di esuli. Considerazioni analoghe si potrebbero fare per il ricordo di taluni Martiri come i sacerdoti trucidati “in odio della fede”, edulcorato anche ufficialmente in espressioni di perbenismo davvero fuori posto.
Antonio Santin, il Vescovo patriota di Trieste e Capodistria, che vive sempre nel cuore degli esuli e dei loro eredi, diceva che “il trionfo dell’iniquità è transeunte”, ma non poteva sapere che la storia gli avrebbe dato ragione più presto di quanto sarebbe stato logico sperare negli anni Cinquanta: l’abbattimento del Muro, lo sfascio dell’Unione Sovietica, il crollo della Jugoslavia, e soprattutto, per dirla con un famoso politologo, la fine della “lunga marcia comunista verso il nulla”, sono lì che parlano a chi possegga orecchie per sentire.
Ecco un buon motivo in più, per non lasciarsi irretire dalle suggestioni compromissorie tanto care agli odierni “vigliacchi d’Italia”, e per affermare a chiare note il diritto-dovere di informare, non già in base alle convenienze, ma secondo scienza e coscienza.
Si tenga presente che, in ogni caso, non basta dare informazioni, che pure sono presupposto indispensabile di conoscenza. Bisogna comunicare in senso formativo, e promuovere un’educazione delle menti e delle coscienze indubbiamente ardua, dopo decenni di silenzi se non anche di falsi (come quello contenuto in qualche libro di testo secondo cui nel 1947 si sarebbero dovute “restituire” alla Jugoslavia le terre istriane e dalmate che in effetti non aveva mai posseduto); ma non per questo meno necessaria nell’ambito di quella “professione di fedeltà al vero” che è l’essenza della storia e ne costituisce l’irrinunciabile fondamento etico. In ogni caso, senza indulgere ad un silenzio che è sinonimo di colpa.
cm
Fs. Parte l’Alta Velocità italiana, Roma-Milano in 3 ore e mezza
Via il 14/12. Moretti: Sottrarremo ad aerei 60 % viaggiatori
Roma, 13 nov. (Apcom) – Parte il 14 dicembre l’Alta Velocità ferroviaria italiana. Con il ‘Frecciarossa’ delle Ferrovie dello Stato sarà possibile fare Roma-Milano in 3 ore e 30 minuti senza fermate intermedie, e in meno di 4 ore fermando a Bologna e Firenze. E poi Milano-Bologna si potrà fare in 65 minuti, Milano-Firenze in 2 ore e 10, Napoli-Milano in 4 ore e 50. Già nei prossimi giorni, annunciano le Fs, i biglietti saranno acquistabili nelle biglietterie e su internet.
“L’alta velocità – ha sottolineato l’amministratore delegato di Fs Mauro Moretti – ha e avrà prezzi assolutamente competitivi. Sarà, per frequenza e caratteristiche, una sorta di metropolitana veloce d’Italia che congiungerà il Nord al Sud, da Torino fino a Salerno. Farà crescere la domanda complessiva di mobilità attivando un circuito virtuoso per l’economia, il turismo, l’ambiente e il mercato del lavoro. Il treno – ha aggiunto Moretti – sfiderà l’auto e l’aereo per convenienza economica, tempi di viaggio, frequenza, comfort e minor impatto ambientale. Siamo convinti che sottrarremo fino al 60 per cento di viaggiatori all’aereo”. Glv/Lux
Proprio oggi è stato detto che per andare da Trapani a Modica, entrambe in Sicilia, ci vogliono oltre dieci ore, mentre sette ore e mezza servono per andare da Catanzaro a Lecce, cambiando cinque volte.
Lory
Salve. non so come contattarla. Ho da proporle una collaborazione. Saluti
FOIBE
CITTA’ CHE HANNO COMMEMORATO CON SENSIBILITA’ IL GIORNO DEL RICORDO – 10 FEBBRAIO – LE VITTIME DELLE FOIBE E L’ESODO FIUMANO, ISTRIANO E DALMATA
ACQUI TERME (AL) Via Martiri delle Foibe
ALBIGNASEGO (PD) Via Martiri delle Foibe
ANTRODOCO (Rieti) Giardino “Martiri delle Foibe”
AREZZO Largo Martiri delle foibe
ARONA (NO) Largo Martiri delle foibe
ASSISI (Perugia) Via Martiri delle Foibe
AVEZZANO (L’AQUILA) Via Martiri delle Foibe
BANCINA (Palermo) Via Martiri delle Foibe
BARI Via Martiri delle Foibe
BELLUNO Piazzale Vittime delle foibe
BENEVENTO Piazzale Martiri delle foibe
BRESCIA Via Foiba di Basovizza
BRINDISI Via Martiri delle Foibe
BUSSOLENGO (VR) Via Martiri delle Foibe
CAGLIARI Parco Martiri delle Foibe
CALOLZIOCORTE (Lecco) Parco Martiri delle Foibe
CASALE MONFERRATO (Alessandria) Via Vittime delle Foibe
CASPERIA (Rieti) Via Martiri delle Foibe
CASTELLABATE (Sa) Via Martiri delle Foibe
CASTELLABATE (Sa) Via Norma Cossetto
CASTELNUOVO DEL GARDA (Vr) Via Martiri delle Foibe
CEGLIE MASSAPICA (BR) Via Martiri delle Foibe
CERIGNOLA
CERVETERI (Roma) Via Martiri delle Foibe
CHIUPPANO (VI) Via Martiri delle Foibe
CIVITANOVA MARCHE (MC) Via Martiri delle Foibe
CIVITAVECCHIA Parco Uliveto intitolato ai Martiri delle Foibe
CIVITAVECCHIA (Roma) Targa ai Martiri delle Foibe
COMO Giardini Martiri delle Foibe istriane
CONEGLIANO VENETO (TV) Via Martiri delle Foibe
CORTEMAGGIORE (Piacenza) Via Martiri delle Foibe
CRESCENTINO (Vc) Via Martiri Delle Foibe
DESENZANO DEL GARDA (BS) Via Martiri delle Foibe
FERMO (AP) Viale Martiri delle Foibe
FIRENZE Via Martiri delle Foibe
FONDI (LT) Piazza Martiri delle Foibe
FORLI’ Viale Martiri delle Foibe
GRADO (Gorizia) Piazza Martiri delle Foibe
GROSSETO Piazza Martiri delle Foibe istriane
GUIDONIA MONTECELIO (Roma) Piazza Martiri delle Foibe
JESOLO (VE) Via Martiri delle Foibe
LANCIANO (Chieti) Piazza Martiri delle Foibe
LECCO Riva Martiri delle foibe
LEONESSA (Rieti) Largo dei Martiri delle Foibe Istriane
LIMBIATE (Milano) Piazza Martiri delle Foibe
LOANO (SV) Via Martiri delle Foibe
MAIOLATI SPONTINI (AN) Largo Martiri delle foibe
MARINA DI PISA Via Martiri delle Foibe
MILANO Largo Martiri delle foibe
MODENA Via Martiri delle Foibe
MONTEBELLUNA Piazzale Vittime delle foibe
MONTEROTONDO Piazza Martiri delle Foibe
NOVENTA VICENTINA (Vicenza) Via Vittime delle Foibe
ONARA DI TOMBOLO (PN) Via Martiri delle Foibe
ORISTANO Via Martiri delle Foibe
PAGNACCO (UD) Piazzale Martiri delle Foibe
PALERMO Via Foibe
PISA Via Martiri delle Foibe
PISTOIA Via Martiri delle Foibe
PORTOMAGGIORE (FE) Via Martiri delle Foibe
PRATO Via Martiri delle Foibe
RECANATI (Macerata) Via Martiri delle Foibe
RIVA DEL GARDA (Trento) Largo Caduti delle Foibe
RIVAROLO CANAVESE (Torino) Via Vittime delle Foibe
ROBECCO SUL NAVIGLIO Via Martiri delle Foibe
ROCCA DI BERGAMO Via Martiri delle Foibe
ROMA Largo delle Vittime delle Foibe istriane
RONCHI DEI LEGIONARI (GO) Via Martiri delle Foibe
ROVERETO (TN) Piazza Vittime delle Foibe
SALO’ (Brescia): Galleria Martiri delle Foibe
SALO’ (Brescia): Via Martiri delle Foibe
SAN LAZZARO DI SAVENA (BO) Via Martiri delle Foibe
SAN PIETRO DI LAVAGNO (VR) Via Martiri delle Foibe
SAN SEVERO (FG) Largo Vittime delle Foibe
SANREMOSanremo (Imperia) Via Martiri delle Foibe
SCAFATI (SA) Via Martiri delle Foibe
SERVIGLIANO (Ascoli Piceno) Via Martiri delle Foibe
SETTIMO TORINESE (TO) Via Martiri delle Foibe
SIMERI CRICHI (Catanzaro) Piazza Vittime delle Foibe
TERAMO Via Martiri delle Foibe
TERMOLI (CB) Largo Martiri delle foibe
TRENTO Via Vittime delle Foibe
TRIESTE Monumento dedicato ai Martiri delle Foibe
TRIESTE Via Largo don Francesco Bonifacio
TRIESTE Via Norma Cossetto
VENTIMIGLIA (Imperia) Via Martiri delle Foibe
VICENZA Via Martiri delle Foibe
VIGEVANO (PV) Via Martiri delle Foibe
VILLAFRANCA LUNIGIANA (Massa-Carrara) Piazza Vittime delle Foibe
VITERBO Largo Martiri delle Foibe istriane
VITTORIA Via Martiri delle Foibe
VOGHERA (PV) Via Martiri delle Foibe
VOLPIANO (TO) Via Vittime delle Foibe
STRAGE DI VERGAROLLA – 18 AGOSTO 1946
La pulizia etnica voluta da Tito a danno degli italiani, ed ammessa senza mezzi termini dai suoi massimi luogotenenti quali Gilas e Kardelj, ebbe il momento di punta negli eccidi delle foibe, proseguiti a lungo, anche dopo la guerra, in spregio al diritto positivo, e prima ancora, a quello naturale.
Un episodio di particolare e tragica efferatezza, che conviene proporre al ricordo di tutti, fu la strage di Vergarolla, compiuta nei pressi di Pola il 18 agosto 1946, sedici mesi dopo la fine del conflitto: in una giornata di festa, elementi dell’OZNA, la polizia politica jugoslava, fecero brillare 28 mine di profondità (contenenti esplosivo per circa dieci tonnellate) che erano state depositate sulla spiaggia, provocando un centinaio di Vittime.
Fu un atto intimidatorio per costringere la popolazione italiana ad abbandonare Pola, con un esodo in massa che coinvolse il 92 per cento degli abitanti. Ufficialmente, la paternità della strage rimase ignota per molti anni, anche se tutti sapevano quale ne fosse la matrice, ma in tempi recenti l’apertura degli archivi inglesi di Kew Gardens (Foreign Office) ha permesso di mettere in chiaro la verità, con i nomi degli esecutori materiali.
Vergarolla fu un atto proditorio e vile, compiuto a danno di una popolazione inerme, richiamata anche da una manifestazione sportiva, e costituita in buona misura da bambini, donne ed alcune persone anziane: le 64 Vittime identificate avevano un’età media di 26 anni. Per molti altri, fu impossibile ricomporre i poveri resti, letteralmente disintegrati dall’esplosione.
Ecco i Nomi delle Vittime conosciute (per ciascuna, con indicazione dell’età): quelli contrassegnati dall’asterisco si riferiscono a coloro che vennero sepolti in una tomba comune eretta nel Cimitero di Monte Giro a cura di Vittorio Saccon, un cittadino di Pola che nell’eccidio aveva perduto un numero assai elevato di familiari.
BALDUCCI Leambruno 25
BERDINI Amalia 34
*** BERDINI Emilio 36
BERDINI Luciana 5
BERDINI Ornella 32
BRANDIS Alberto 3
BRANDIS Ferruccio 34
BRANDIS Ida 31
BRESSAN Gigliana 23
BRESSAN Salvatore 27
BRONZIN Francesca 41
CHERPAN Paolo 24
*** DEBONI (Lussi) Maria 37
*** DINELLI (HEGEDICH) (Mamma) Amalia 36
*** DINELLI (Nonna) Giovanna 60
*** DINELLI (Papa’) Olao 37
*** DINELLI (Sorella) Norina 6
DINELLI (Zio e fratello di Olao) Otello 24
*** GIURINA Nadia 11
*** LUCHEZ Rosina 19
*** MARAN Valeria 50
MARCHI Silvana 5
*** MARCHI (Deboni) Caterina 31
*** MARESI Franco 8
*** MARESI Graziella 5
*** MARESI (Gilve) Jolanda 28
*** MARESI Milena 3
*** MARINI Liliana 23
MARTIN Argia 42
MARTIN Nicolò 20
*** MICHELETTI Alberto 37
MICHELETTI Carlo 9
*** MICHELETTI Enzo 4
*** MICHELETTI (Maresi) Caterina 37
MINGARONI Palmira 50
MINGARONI Riccardo 49
MUGGIA Vitaliano 10
NICCOLI Marialuisa 12
NOVAK (in Toniolo) Maria 48
QUARANTOTTO Anita 37
RICATO Aurelio 10
ROCCO Camilla 30
ROCCO Gianna 5
ROCCO Licia 8
ROCCO Mario 36
ROICI Ginanfranco 12
ROICI Lucio 15
*** RUPILLO (Crosilla) Adelina 24
SABATTI Francesco
*** SACCON Fulvio 3
*** SACCON Riccardo 50
*** SACCON Trifone 42
*** SACCON (Contus in Saccon) Emma 50
*** SACCON (Faraguna in Saccon) Stefania 31
SPONZA Alberto 55
SUCCI Carlo 6
TONIOLO Francesco 45
VICCHI Vilma 23
VIDOVICH (ved. Mingaroni) Giovanna 72
VIVODA Sergio 8
*** VOLCHIERI Alfredo 28
*** VOLCHIERI Jolanda 34
ZAVERSNICH Francesco 30
ZELESCO Edmondo 6
Dalla strage di Vergarolla, come dal genocidio programmato a danno degli italiani di Venezia Giulia e Dalmazia, sono passati oltre 60 anni: tanti, ma non troppi per coloro che piangono i propri Caduti, e per i pochi superstiti che ricordano con raccapriccio quella tragedia agghiacciante, e la perversità delle sue motivazioni.
Qui, si vuole soltanto rammentare il clima di terrore che si diffuse a Pola, e l’indignazione del Consiglio comunale che inoltrò un’immediata e vibrante protesta al Comando Supremo Alleato del Mediterraneo ed a quelli locali, senza alcun apprezzabile seguito: la Corte d’inchiesta non pervenne, o non volle pervenire, a risultati probanti. Anzi, a breve distanza da Vergarolla giunse notizia che anche Pola, diversamente da quanto era stato ipotizzato, sarebbe stata ceduta alla Jugoslavia.
Di qui, l’esodo plebiscitario compiuto entro i primi mesi del 1947 da parte di un popolo che aveva una grande colpa, quella di essere italiano; ma che nonostante il dolore seppe affermare con grande dignità e coraggio i valori etici di civiltà e giustizia, e quello di un esemplare amore patrio.
Città d’Italia che hanno onorato, con grande sensibilità, in un luogo pubblico, i Martiri delle Foibe e la Tragedia dell’Esodo degli Italiani Fiumani, Istriani e Dalmati, a loro un sentito ringraziamento, 246 Città all’11.12.2009
ACQUI TERME (Alessandria) Piazza Martiri delle Foibe
ALBIGNASEGO (Padova) Viale Martiri delle Foibe
ALESSANDRIA Via Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati
ALGHERO fraz. Fertilia (Sassari)Via Martiri delle Foibe
ALLERONA (Terni) Largo Martiri delle Foibe
ALTAMURA (Bari) Via Caduti delle Foibe
ALTAVILLA VICENTINA (Vicenza)Via Martiri delle Foibe
ANCONA Scalinata Italiani di Istria Fiume e Dalmazia
ANTRODOCO (Rieti) Giardino Martiri delle Foibe
AREZZO Largo Martiri delle Foibe
ARONA (Novara) Largo Martiri delle Foibe
ASSISI fraz. S. M.degli Angeli (Perugia)Via Martiri delle Foibe
AVEZZANO (L’Aquila) Via Martiri delle Foibe
BADIA POLESINE (Rovigo) Via Martiri delle Foibe
BARANZATE (Milano) Giardino Martiri delle Foibe
BARI Via Martiri delle Foibe
BASSANO DEL GRAPPA (Vicenza)Via Martiri delle Foibe
BAUCINA (Palermo) Via Martiri delle Foibe
BELLUNO Piazzale Vittime delle Foibe
BENEVENTO Piazzale Martiri delle Foibe
BETTONA (Perugia) Via Martiri delle Foibe
BIASSONO (Monza-Brianza) Via Martiri delle Foibe
BOLOGNA Rotonda Martiri delle Foibe
BOLOGNA Giardino Martiri di Istria Fiume e Dalmazia
BORGO SAN DALMAZZO (Cuneo)Piazza Vittime delle Foibe
BRA (Cuneo) Piazza Martiri delle Foibe
BRESCIA Via Martiri delle Foibe
BRESCIA Via Vittime d’Istria Fiume e Dalmazia
BRONI (Pavia) Via Martiri delle Foibe
BUDRIO (Bologna) Via Vittime dell Foibe
BUSSOLENGO (Verona) Viale Martiri delle Foibe
CAGLIARI Parco del Martiri delle Foibe
CALCINAIA fraz. Fornacette (Pisa)Via Vittime delle Foibe
CALCINATO (Brescia) Via Martiri delle Foibe
CALOLZIOCORTE (Lecco) Parco Martiri delle Foibe
CAMAIORE (Lucca) Via Martiri delle Foibe
CAMOGLI (Genova) Scalinata Martiri delle Foibe
CARAPELLE (Foggia) Via Martiri delle Foibe
CASALE MONFERRATO (Alessandria)Via Vittime delle Foibe
CASERTA Via Martiri delle Foibe
CASTELLABATE (Salerno) Via Norma Cossetto
CASTELLABATE (Salerno) Via Martiri delle Foibe
CASTELLAMONTE (Torino) Via Martiri delle Foibe
CASTELNUOVO DEL GARDA (Verona)Via Martiri delle Foibe
CASTIGLIONE DELLE STIVIERE (MN)Via Martiri delle Foibe
CEGLIE MESSAPICA (Brindisi) Via Martiri delle Foibe
CERVETERI (Roma) Via Martiri delle Foibe
CERVIA (Ravenna) Parco Martiri delle Foibe
CHIARI (Brescia) Piazzetta Martiri delle Foibe
CHIVASSO (Torino) Via Martiri d’Istria e Dalmazia
CITTA’ DI CASTELLO (Perugia) Via Martiri delle Foibe
CIVITANOVA MARCHE (Macerata)Via Martiri delle Foibe
CIVITAVECCHIA (Roma)P. Martiri delle Foibe – Parco Uliveto
COMO Piazza Martiri Foibe Istriane
COMO fraz. Albate G. Martiri italiani delle Foibe istriane
CONEGLIANO (Treviso) Via Martiri delle Foibe
COPERTINO (Lecce) Via Martiri delle Foibe
CORNAREDO (Milano) Via Vittime delle Foibe
CORTEMAGGIORE (Piacenza) Via Martiri delle Foibe
CRESCENTINO (Vercelli) Via Martiri delle Foibe
DANTA DI CADORE (Belluno) Via Vittime delle Foibe
DESENZANO DEL G. (Brescia)Via Martiri Italiani delle Foibe
DOMODOSSOLA Piazzale Vittime delle Foibe Istriane
DUE CARRARE (PD)Piazza Norma Cossetto e Mart.delle foibe
FABRIANO (Ancona) Via dei Martiri delle Foibe Istriane
FERMO Via Vittime delle Foibe
FERRARA Via Martiri delle Foibe
FIRENZE Largo Martiri delle Foibe
FOGGIA Piazza dei Martiri Triestini
FOLIGNO (Perugia) Piazzale Martiri delle Foibe
FONDI (Latina) Piazza Martiri delle Foibe
FONTANIVA (Padova) Via Martiri delle Foibe
FORLI’ (Forlì-Cesena) Via Martiri delle Foibe
FORTE DEI MARMI (Lucca) Piazza Martiri delle Foibe
FRANCAVILLA AL MARE (Chieti) Via Martiri delle Foibe
FROSINONE Piazza Martiri delle Foibe
GATTINARA (Vercelli) Piazza Martiri delle Foibe
GAVIRATE (Varese) Piazza Martiri delle Foibe
GAVORRANO (Grosseto) Via Martiri d’Istria
GENOVA Passo Vittime delle Foibe
GORIZIA Largo Martiri delle Foibe
GORIZIA Via Norma Cossetto
GOZZANO (Novara) Via Martiri delle Foibe
GRADO (Gorizia)Piazza Martiri delle Foibe (pass. a mare)
GROSSETO Piazza Martiri delle Foibe Istriane
GRUGLIASCO (Torino) Giardino Vittime delle Foibe
GRUMOLO DELLE ABB.(Vicenza)Piazza Norma Cossetto
GUIDONIA MONTECELIO(Villalba)(Roma)P. Martiri delle Foibe
IMPERIA Giardini Martiri delle Foibe
JESI (Ancona) Piazza Martiri delle Foibe Istriane
JESI (Ancona) Via Martiri delle Foibe Istriane
JESOLO (Venezia) Via Martiri delle Foibe
LANCIANO (Chieti) Piazza Martiri delle Foibe
L’AQUILA Via Norma Cossetto
LATINA Piazzale Martiri delle Foibe
LATINA Viale Martiri di Dalmazia
LAVAGNO fraz. San Pietro (Verona)Via Martiri delle Foibe
LAZZATE (Monza-Brianza) Largo Martiri delle Foibe
LECCE Via Martiri delle Foibe
LECCO Riva Martiri delle Foibe
LEINI’ (Torino) Via Martiri delle Foibe
LEONESSA (Rieti) Largo dei Martiri delle Foibe Istriane
LICATA (Agrigento) Piazzale Martiri delle Foibe
LIMBIATE (Monza-Brianza) Piazza Martiri delle Foibe
LISSONE (Monza-Brianza) Piazza Martiri delle Foibe
LOANO (Savona) Via Martiri delle Foibe
LOCRI (Reggio Calabria) Via Martiri delle Foibe
LONIGO (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
LUCCA Via Martiri delle Foibe
MACERATA Via Vittime delle Foibe
MAIOLATI SPONTINI (Ancona) Largo Martiri delle Foibe
MANDANICI (Messina)Piazza Carabiniere Domenico Bruno
MAPELLO (Bergamo)Via Esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia.
MAPELLO (Bergamo) Via Martiri delle Foibe
MARCELLINA (Roma) Piazza Martiri delle Foibe
MARINO (Roma) Piazzale Caduti delle Foibe
MARTIGNACCO (Udine) Piazzale Martiri delle Foibe
MASSA (M-C)Parco del ricordo ai Martiri delle Foibe.
MAZARA DEL VALLO (Trapani) Via Martiri delle Foibe
MESSINA P.zza Martiri delle Foibe e degli Esuli di Istria, Fiume e Dalmazia
MILANO Via Martiri Triestini
MILANO Largo Martiri delle Foibe
MIRANDOLA (Modena) Via Martiri delle Foibe
MODENA Via Martiri delle Foibe
MODUGNO (Bari) Parco del Ricordo
MOGLIANO VENETO (Treviso) Via Martiri delle Foibe
MONCALIERI (Torino) Via Vittime delle Foibe
MONTEBELLUNA (Treviso)Vicolo Martiri Giuliani e Dalmati
MONTECCHIO MAGGIORE (Vicenza)Via Martiri delle Foibe
MONTELUPONE (Macerata) Via Martiri delle Foibe
MONTEROTONDO (Roma) Piazza Martiri delle Foibe
MONTESILVANO (Pescara) Via Martiri delle Foibe
MORTARA (Pavia) Via Martiri delle Foibe
MUGNANO DEL CARDINALE (Avellino)Via Vittime delle Foibe
NANTO (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
NEPI (Viterbo) Parco Martiri delle Foibe
NERVIANO (Milano) Via Martiri delle Foibe
NISCEMI (Caltanisetta) Piazza Martiri delle Foibe di Istria, Dalmazia e Venezia Giulia
NOVARA Via Vittime delle Foibe
NOVENTA VICENTINA (Vicenza)Via Vittime delle Foibe
OSPITALETTO (Brescia) Via Martiri delle Foibe
OSTRA VETERE (Ancona) Giardino Martiri delle Foibe
OZIERI (Sassari) Via Martiri delle Foibe
PADOVA Passaggio Martiri delle Foibe
PADOVA Via Nicolò e Pietro Luxardo
PAGNACCO (Udine) Piazzale Martiri delle Foibe
PALAZZOLO SULL’OGLIO (BS) P.Martiri delle Foibe Istriane
PASIAN DI PRATO (Udine) Via Martiri delle Foibe
PERUGIA Via Vittime delle Foibe
PESCHIERA DEL GARDA (Verona)Via Caduti delle Foibe
PIETRASANTA (Lucca) Piazza Martiri delle Foibe
PIOVE DI SACCO (Padova) Via Martiri delle Foibe
PISA Rotonda Martiri delle Foibe
POGGIORSINI (Bari) Via Martiri delle Foibe
POMEZIA (Roma) Via Martiri delle Foibe
PONTE SAN PIETRO (Bergamo) Piazza Martiri delle Foibe
PONTEDERA (Pisa) Via Caduti delle Foibe
PORDENONE Pedonale/ciclabile Martiri delle Foibe
PORRETTA TERME (Bologna) Piazza Martiri delle Foibe
PORTOFERRAIO (Livorno) Via Martiri delle Foibe
PORTOGRUARO (Venezia) Via Vittime delle Foibe
PORTOMAGGIORE (Ferrara) Via Martiri delle Foibe
POVOLETTO (Udine) Ponte Martiri delle Foibe
PRATO Via Martiri delle Foibe
PRIVERNO (Latina) Giardino Martiri delle Foibe
PUTIGNANO (Bari) Via Martiri delle Foibe
RAPALLO (Genova) Piazzale Martiri delle Foibe
RECANATI (Macerata) Via Martiri delle Foibe
REGGELLO (Firenze) Via Caduti delle Foibe
REGGIO EMILIA fraz. Coviolo Viale Martiri delle Foibe
RICCIONE (Rimini) Piazzale Martiri delle Foibe
RIVA DEL GARDA (Trento) Largo Caduti delle Foibe
ROBECCO SUL NAVIGLIO (Milano)Via Martiri delle Foibe
ROCCALUMERA (Messina) Piazza delle Foibe
ROMA Largo Vittime delle Foibe istriane
ROMA Via Norma Cossetto
ROMA Via Icilio Bacci
ROMA Via Riccardo Gigante
ROSA’ (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
ROVATO (Brescia) Via Martiri delle Foibe
ROVERETO (Trento) Largo Vittime delle Foibe 1943-1947
SABAUDIA (Latina) Largo dei Martiri delle Foibe
SALO’ (Brescia) Via Martiri delle Foibe
SALO’ (Brescia) Galleria Martiri delle Foibe
SAN BONIFACIO (Verona) Piazza Martiri delle Foibe
SAN DANIELE DEL FRIULI (Udine) Via Luxardo
SAN DONA’ DI PIAVE (Calvecchia)(VE) Via Martiri delle Foibe
SAN GIOVANNI ILARIONE (Verona)Via Martiri dlele foibe
SAN GIOVANNI LUPATOTO (Verona)Parco Martiri delle Foibe
SAN LAZZARO DI SAVENA (Bologna)Via Martiri delle Foibe
SAN MINIATO (Ponte a Egola) (Pisa)Via Vittime delle Foibe
SAN SEVERO (Foggia) Largo Vittime delle Foibe
SANREMO (Imperia) Via Martiri delle Foibe
SANTA MARINELLA (Roma) Parco Martiri delle Foibe
SANT’ANGELO LODIGIANO (Lodi)Via Martiri delle Foibe
SAONARA (Padova) Via Martiri Giuliani e Dalmati
SASSARI Via Martiri delle Foibe
SASSO MARCONI (Borgonuovo)(BO)Via Vittime delle Foibe
SASSUOLO (Modena) Piazza Martiri delle Foibe
SAVIGLIANO (Cuneo) Via Martiri delle Foibe
SCAFATI (Salerno) Via Martiri delle Foibe
SEDICO (Belluno) Via Martiri delle Foibe
SELCI (Rieti) Piazza Martiri delle Foibe
SEREN DEL GRAPPA (Belluno) Via Vittime delle Foibe
SERIATE (Bergamo) Via Martiri delle Foibe
SERVIGLIANO (Fermo) Via Martiri delle Foibe
SETTIMO TORINESE (Torino) Via Vittime delle Foibe
SURBO (Lecce) Largo Vittime delle Foibe
TARANTO Piazzale Martiri delle Foibe
TEMPIO PAUSANIA (O-T.)Via Martiri delle Foibe Istriane
TEOLO (Padova) Via Martiri delle Foibe
TERAMO Via Martiri delle Foibe
TERAMO Via Norma Cossetto
TERMINI IMERESE (Palermo) Largo Martiri delle Foibe
TERMOLI (Campobasso) Largo Martiri delle Foibe
TERRALBA (Oristano) Piazza Martiri delle Foibe
TOLMEZZO (Udine) L.go Vittime Foibe Esuli di Istria, Fiume, Dalmazia ed Alto Isonzo
TOMBOLO fraz. Onara (Padova)Via Martiri delle Foibe
TRENTO Via Vittime delle Foibe
TREVISO Piazza Martiri delle Foibe
TRIESTE Largo don Francesco Bonifacio
TRIESTE Via Norma Cossetto
TRIESTE Viale Martiri delle Foibe
TROFARELLO (Torino) Via Martiri delle Foibe
TUGLIE (Lecce) Via Martiri delle Foibe
TUORO (Caserta) Via Martiri delle Foibe
URGNANO (Bergamo) Piazza Martiri delle Foibe
VALDOBBIADENE (Treviso) Parco Martiri delle Foibe
VALEGGIO SUL MINCIO (Verona)Via Martiri delle Foibe
VARESE Via Istria – Martiri delle Foibe
VASTO MARINA (Chieti) Via Martiri Istriani
VEDELAGO fraz. Casacorba (Treviso)P. Martiri delle Foibe
VELLETRI (Roma) Via Martiri delle Foibe
VENEZIA fraz. Marghera (Venezia)P.le Martiri Giuliano-Dalmati delle Foibe
VENTIMIGLIA (Imperia)Giardini Martiri delle Foibe
VERCELLI Via Martiri delle Foibe
VICENZA Largo Martiri delle Foibe
VIGEVANO (Pavia) Via Martiri delle Foibe
VIGONZA (Padova) Via Martiri delle Foibe
VILLAFRANCA IN LUNIGIANA (M-C)Piazza Martiri delle Foibe
VILLONGO (Bergamo) Via Martiri delle Foibe
VITERBO Largo Martiri delle Foibe Istriane
VITTORIA fraz. Scoglitti (Ragusa)Via Martiri delle Foibe
VOGHERA (Pavia) Via Martiri delle Foibe
VOLPIANO (Torino) Via Vittime delle Foibe
ZOAGLI (Genova) Scalinata Martiri delle Foibe
GIOVEDÌ, 24 DICEMBRE 2009
Pagina 1 – Prima Pagina
Beni abbandonati, un milione di risarcimento
Il tribunale di Venezia dà ragione a una famiglia di esuli di Sebenico. Roma deve pagare
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lDe Rossi, Manzin e Unterweger a pagina 12
TRIESTE Poco meno di un milione di euro: è quanto lo Stato italiano dovrà versare a una famiglia originaria di Sebenico a titolo di risarcimento per i beni abbandonati nell’ex Jugoslavia al termine della Seconda guerra mondiale. La sentenza arriva, dopo una lunga battaglia giudiziaria, dal tribunale civile di Venezia, a cui si sono rivolti appartenenti ed eredi della famiglia Castriota Scanderberg. I Castriota Scanderberg possedevano palazzi e terreni in quella che ora è terra croata. L’Italia aveva già versato alla famiglia alcune somme a ristoro del danno, denaro ritenuto del tutto insufficiente a coprire il reale valore dei beni abbandonati. «Questa sentenza – dice l’avvocato – costituisce un importante precedente anche per gli altri esuli».
PREGHIERA PER LE VITTIME DELLE FOIBE
MONSIGNOR SANTIN
Invocazione per le Vittime delle Foibe
O Dio, Signore della vita e della morte,
della luce e delle tenebre,
dalla profondità di questa terra
e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta , o Signore, la nostra voce.
Noi siamo venuti qui per innalzare
le nostre povere preghiere
e deporre i nostri fiori,
ma anche apprendere l’insegnamento
che sale dal sacrificio di questi Morti.
E ci rivolgiamo a Te,
perché Tu hai raccolto l’ultimo loro grido,
l’ultimo loro respiro.
Questo calvario, col vertice sprofondato
nelle viscere della terra,
costituisce una grande cattedra,
che indica nella giustizia e nell’amore
le vie della pace.
Ebbene, Signore, Principe della Pace,
concedi a noi la Tua pace.
Dona conforto alle spose,
alle madri, alle sorelle, ai figli di coloro
che si trovano in tutte le foibe
di questa nostra triste terra, e a tutti noi
che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno
sul cuore la pena per questi Morti,
profonda come le voragini che li accolgono.
Tu sei il Vivente, i Signore, e in Te essi vivono.
Che se ancora la loro purificazione
non è perfetta, noi Ti offriamo,
o Dio Santo e Giusto, la nostra preghiera,
la nostra angoscia, i nostri sacrifici,
perché giungano presto a gioire
della splendore del Tuo volto.
E a noi dona rassegnazione e fortezza,
saggezza e bontà. Tu ci hai detto:
“Beati i misericordiosi perché saranno
chiamati figli di Dio, beati coloro
che piangono perché saranno consolati”,
ma anche beati quelli che hanno
fame e sete di giustizia
perché saranno saziati in Te,
o Signore, perché è sempre apparente
e transeunte il trionfo dell’iniquità.
Mons. Antonio Santin , Vescovo di Trieste , 1959
Ascolta o Signore anche la mia voce!
IL MINISTRO GELMINI DEVE PRENDERE PROVVEDIMENTI NEI CONFRONTI DEL PRESIDE E DEI PROFESSORI DELL’ISTITUTO NAUTICO CABOTO DI GAETA CHE HANNO VIOLATO LA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO E DI APPRENDIMENTO, E CON ESSA LA COSTITUZIONE ITALIANA, LA LEGGE 30 MARZO 2004 E RIPETUTE CIRCOLARI MINISTERIALI.
ECCO I FATTI:
AFFIGGE VOLANTINI SULLE FOIBE E PRENDE UNA NOTA A SCUOLA, POLEMICHE A GAETA
Mercoledì 11 Febbraio 2009 19:05
Nota sul registro e convocazione dal preside per uno studente dell’Istituto Nautico «G.Caboto» di Gaeta “sorpreso” questa mattina ad affiggere dei volantini sulle foibe. A riferire l’episodio è Mauro Pecchia, responsabile del Blocco studentesco di Gaeta, che racconta: «Questa mattina un attivista del Blocco Studentesco, nonchè Rappresentante alla Consulta provinciale di Latina, è stato ripreso da alcuni professori e convocato dal Preside per aver affisso dei volantini che commemoravano le decine di migliaia di martiri infoibati italiani, più le centinaia di migliaia costrette ad un vergognoso esodo forzata, in occasione della ‘Giornata del ricordò istituita da circa quattro anni dallo Stato Italiano».
«Il militante blocchista – prosegue Pecchia – è stato ammonito con un rapporto sul registro di classe, per poi essere minacciato di ricevere un cinque in condotta alla fine dell’anno, che significherebbe la certa non ammissione all’anno successivo. Dopo cinquant’anni di bugie, invenzioni ed intimidazioni ancora oggi continua la repressione del pensiero nei confronti di chi vuole soltanto verità. Continua l’opera di negazionismo militante nelle scuole e nelle università in merito alla tragedia delle foibe». «Non abbiamo intenzione di restare a guardare la prepotenza selvaggia di una determinata area politica che continua a giustificare l’eccidio comunista nei confronti di migliaia di compatrioti indifesi, nè la giustificazione che queste stesse persone continuano a dare ad una delle pagine più vergognose della storia del nostro Paese – conclude Pecchia – Vogliamo che il preside chieda pubblicamente scusa al nostro movimento e a tutte le vittime infoibate, e ritiri la punizione inflitta al nostro militante. È un atto di giustizia nei confronti di tutti quelli che hanno sofferto la crudeltà comunista, prima, e il silenzio della storia distorta, poi».
Foibe, la memoria cancellata nei libri di scuola
di Cristiano Gatti
Lo dice la parola stessa: è il giorno del ricordo. Sarebbe umano e giusto ricordare anche questo: migliaia di anonimi italiani, sgraditi ai disegni di
Tito, buttati nell’abisso delle grotte carsiche, chiamate foibe. Tutto in poche settimane, dal primo maggio a metà giugno 1945. Italiani dissolti nel
nulla. Spariti dall’anagrafe, spariti dalla storia.
Proprio così, è sempre importante ricordare: perché le nuove generazioni sappiano, perché non ci sia più nessuno che si lasci tentare nuovamente da
strane idee. Il problema sorge quando la memoria difetta a chi la memoria dovrebbe custodire e magari stimolare. Agli storici. È un problema in cui mi
sono imbattuto in questi giorni, quando mio figlio di tredici anni mi ha chiesto qualcosa sull’argomento. Come faccio sempre, mi sono limitato a un’esposizione sommaria: cosa sono le foibe, dove sono, che cosa è successo, salvo invitarlo subito a precisare meglio sul suo libro di storia.
Mio figlio frequenta la terza media di una scuola statale piuttosto seria.
Ha libri di testo ritenuti ugualmente seri. L’altro pomeriggio mi si è ripresentato davanti con il libro di storia. Papà, mi ha detto sfogliando, qui non c’è niente delle foibe. Come, niente. Mi è sembrato impossibile. Non c’era nulla sui testi della mia epoca, trenta o quarant’anni fa, e so pure perché. Ma ormai delle foibe si è ricominciato a parlare da diversi anni,
anche le edizioni più lente e più pigre hanno avuto tutto il tempo per colmare il vuoto. Lo confesso: ho subito dubitato di mio figlio. Non hai visto, siete troppo superficiali, non avete metodo nello studio: le solite paternali che partono in automatico dai pulpiti adulti. Lui, con garbo, mi ha passato il libro: prova tu, cerca.
Non facciamola troppo lunga: sul libro le foibe non compaiono. Sparite nel nulla, come i cadaveri che hanno risucchiato sessant’anni fa.
Vogliamo parlare di dimenticanza? Per favore, non scherziamo. Se di semplice distrazione si trattasse, sarebbe pure peggio. Gli autori di questo libro –
prodotto da un editore come Bruno Mondadori, non da un cioccolataio qualunque – sono addirittura tre. Non voglio neanche pensare che soffrano tutti e tre di amnesie: sarebbe tremendo, anzi diciamo pure un po’ grottesco, per gente che campa sulla memoria.
Che cosa, allora? Perché, allora? Se sulle stesse pagine è già possibile trovare le prime ricostruzioni e le prime spiegazioni dell’11 settembre, della mondializzazione e del trattato di Maastricht, non posso certamente concludere che agli autori sia mancato il tempo per aggiornare il lavoro.
Guardando le diciture di retrocopertina, il volume risulta chiuso nel 2005.
Cioè in un’epoca comunque segnata dal dibattito sulle foibe. I tre autori possono essere anche corti di memoria, ma non credo siano pure tutti e tre
sordi.
È persino inutile aggiungere che ulteriori ricerche su altri volumi hanno dato analoghi, avvilenti risultati. Difficilissimo trovare le foibe sui testi delle nostre scuole. Pittoresco: vorremmo che le future generazioni non dimenticassero un avvenimento che neppure trovano sui libri di storia.
Ovviamente non è la prima volta che si discute su certe stranissime lacune, su certe omissioni sospette, su certi buchi neri dei nostri testi
scolastici. Come ha scritto il vecchio Tolstoj, la storia la scrivono sempre i vincitori. Purtroppo, è risaputo: certi storici e certe case editrici temono di inserire certi argomenti nei loro libri, perché questo può
comportare l’ostracismo di tanti professori che scelgono il testo. Nella scuola italiana è facile trovare libri o dispense che parlino della pena di morte negli Stati Uniti. È difficile però trovarne che parlino delle 25mila esecuzioni negli ultimi anni in Cina. Non sono amnesie: sono scelte. Di opportunismo.
Almeno sulle foibe sarebbe però il caso di piantarla, con i pudori e le reticenze. Quale Italia andiamo a costruire, se ancora portiamo nelle nostre
aule questi tabù culturali, questi pregiudizi ideologici, queste censure preventive e conformiste? La grandezza di una scuola si misura dalla sua
capacità di aprirsi, di sbarazzarsi degli opportunismi e delle convenienze, di puntare ad una reale onestà intellettuale. Se cominciamo proprio lì a strumentalizzare, a occultare e a mistificare, come possiamo sperare che gli italiani di domani siano un po’ migliori di noi, irrimediabilmente piagati
da troppe stagioni di faziosità e di ideologia? Avanti con questo metodo, che considera Stalin un po’ più amabile di Hitler, che ritiene i fumi della Cina un po’ più profumati di quelli americani, che dimentica – ops – quei tre, cinque, diecimila italiani buttati mezzi vivi nelle foibe, non usciremo mai dalla meschinità dei nostri orizzonti culturali. Poi non stupiamoci se
un intellettuale onesto come Giampaolo Pansa dove farsi scortare dalla Polizia per presentare i suoi onestissimi libri…
Ho detto a mio figlio: quando si ricorda, bisogna avere l’accortezza di non dimenticare nessuno. Ci sono morti per una causa giusta e morti per una
causa sbagliata. Istintivamente, mi spiace sempre di più per quelli che stanno dalla parte della libertà e della giustizia. Ma nel caso delle foibe il problema non dovrebbe nemmeno porsi: quei fantasmi che aleggiano sulla nostra memoria meritano un ricordo corale. O bipartisan, come usano dire adesso. Poi ho aggiunto: spero che la tua insegnante di storia sia un po’ meglio del tuo libro. Non serve una lezione intera: per non dimenticare, basta un minuto.
PREGHIERA DELL’ESULE
Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre,
dona la pace a coloro che vittime dell’odio inumano
hanno lasciato la vita nelle foibe del Carso;
fa che il loro sacrificio non venga mai dimenticato
e che su quelle rocce,
prive purtroppo del segno di Cristo,
fioriscano le rose rosse del sacrificio della libertà;
dà o Signore, a questi Morti senza nome ma da te conosciuti ed amati la Tua Benedizione;
Signore, Tu che tutto ami e che tutto perdoni,
abbi pietà dei nostri Fratelli che ci hanno lasciato
durante la diaspora.
Prima di prenderli nel Tuo immenso abbraccio
nell’arco dei cieli,
fa che il loro spirito riveda e gioisca ancora una volta
di quell’angolo di terra che sempre
ebbero scolpito nel cuore;
a noi, Esuli in Patria e nel Mondo,
dona serenità e rassegnazione
nonché la speranza che un giorno
sulle nostre terre abbandonate ma mai dimenticate,
riappaia in cielo l’arcobaleno con i colori del nostro tricolore.
E così sia.
Scuola Media di Pont Canavese:”La giornata del Ricordo”
LA GIORNATA DEL RICORDO
Martedì , 10 febbraio 2009, abbiamo assistito ad una lezione molto interessante. L’insegnante ci ha spiegato che il 10 febbraio di ogni anno vengono commemorati i martiri delle foibe e che questa data è stata denominata “il giorno del ricordo”.
Attraverso la rete abbiamo potuto vedere numerosi video su quel periodo che ci hanno fatto capire meglio quanto ci era stato spiegato in classe.
Molto interessante è stato il servizio di Rai Educational che riportva una intervista ad un sopravvissuto.
A questo punto una domanda ci è venuta spontanea: è possibile che la nostra storia si così piena di orrori e che alcuni uomini per vendicarsi di torti subiti o accaparrarsi nuovi territori si siano comportati come dei veri e proprii mostri?
E ‘quindi giusto che noi conosciamo questi fatti perché non si devono ripetere.
CLASSE I A SCUOLA MEDIA PONT CANAVESE
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Martedì 10 febbraio abbiamo ricordato la giornata delle foibe. noi non sapevamo niente di questi fatti , ma l’insegnante ci ha spiegato che circa 50 anni fa molti italiani che vivevano in Istria sono stati sterminati dalle truppe del generale Tito. questo sterminio consisteva nell’essere gettati in profonde buche scavate nel terreno (foibe) dopo essere stati uccisi con un colpo di fucile che, però spesso colpiva solo il primo della fila, per cui gli altri prigioneri che erano incatenati a lui morivano dopo molto tempo.
Fino al 2004, quando è stata istituita per legge dello stato la Giornata del Ricordo, cè stato un grande silenzio, ma per fortuna adesso se ne parla anche a scuola e noi ragazzi possiamo conoscere questi capitoli della storia che speriamo non si ripetano più.
CLASSE II A SCUOLA MEDIA PONT CANAVESE
Eroi dimenticati
COLTANO
http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Coltano.
Scritta lapide del Campo di Concentramento di Coltano
IN QUESTO LUOGO
DAL MAGGIO AL NOVEMBRE 1945
SORGEVA IL CAMPO AMERICANO P.W.E. 337
DOVE 35000 SOLDATI DELLA R.S.I.
SOFFRIRONO UNA DURA PRIGIONIA
AI CADUTI E AI DISPERSI
DICHIARIAMO PERENNE RICORDO
22 SETTEMBRE 1996
(trentacinquemila)
LA STRAGE DI POLA ORGANIZZATA DALL’OZNA PER CAUSARE L’ESODO.
di Pietro Spirito
Strage di VERGAROLLA
A Pola, che il 18 agosto del 1946 causò la morte di settanta persone ed un centinaio di feriti, tutti civili, smembrando intere famiglie che quel giorno avevano affollato la spiaggia per assistere alla gara natatoria organizzata dalla “Pietas Julia”, non fu un incidente ma un attentato organizzato dall’Ozna, la polizia segreta di Tito. segue a pagina 15, Il Piccolo, 9 marzo 1998
Giacomo Zuccon
nonno di Marchionne
15/02/2010
Una storia italiana: il nonno di Marchionne ucciso nella foiba
Scritto da: Dino Messina
Tags: Sergio Marchionne Giacomo Zuccon Fausto Biloslavo Foibe
A volte la cronaca viene in soccorso della storia. Una bella intervista di Fausto Biloslavo a una zia acquisita di Sergio Marchionne, Maria Zuccon, uscita sul “Giornale” di mercoledì 10 febbraio, in occasione della giornata del ricordo, ci fa capire meglio di tanti testi la tragedia delle Foibe.
“Sergio – esordisce la signora Zuccon – me lo ricordo sin da piccolo, quando mi aiutava a pascolare i manzi.
Il nonno non l’ha mai conosciuto perché è stato infoibato dai partigiani di Tito.
Con sua mamma, Maria, sono legata da sempre. L’ho sentita l’ultima volta il 17 gennaio, quando ha compiuto 84 anni, per farle gli auguri. Con la sorella Anna sono andate esuli in Canada, ma non ci hanno mai dimenticato”.
L’intervista a Maria Zuccon, che ha sposato uno zio dell’amministratore delegato della Fiat, Martino, si svolge in una casa nel villaggio istriano di Zucconi, a pochi chilometri da Pola. “Giacomo, il nonno di Sergio, era un gran lavoratore.
A Carnizza, tre chilometri da qui, aveva messo in piedi un negozio sotto casa. Non ha mai fatto male a nessuno. Giacomo non ha mai portato la camicia nera”. L’8 settembre 1943 il regio esercito si sbanda, spiega Biloslavo, “in Istria si crea un pericoloso vuoto di potere. I partigiani di Tito spuntano dai boschi e vanno a prendere i nemici del popolo'”. Maria Zuccon racconta che “nel paese ne hanno presi sei. Un ingegnere che aveva fatto solo del bene, ma pure il macellaio. Nella banda c’era un capo comunista ideologizzato, ma in realtà chi aveva debiti con il negozio di Giacomo ne ha approfittato per farlo fuori”.
Gli ostaggi spariscono nel nulla e Anna la sorella della madre di Marchionne, Maria, si impegna nelle ricerche: “Il padre, insieme ad altri era stato buttato nella foiba di Trlji, a cinque chilometri da questa casa. E’ andata a Pola e ha convinto i pompieri a recuperare le salme. Sull’orlo della foiba, quando tiravano fuori i corpi tumefatti Anna diceva non è lui, non è lui. Poi ha avuto un sussulto davanti a un corpo irriconoscibile. Questo è mio padre. L’ha riconosciuto dai bottoni della giacca che lei stessa aveva cucito”.
Dopo la guerra la madre di Marchionne si era sposata con un carabiniere, Concezio, conosciuto a Carnizza e si era trasferita a Chieti, dove nel 1952 sarebbe nato Sergio. Poi dall’Abruzzo al Canada, dove c’era già Anna, per dare un futuro al figlio.
Oltre a raccontarci un aspetto poco conosciuto sulle origini del manager che fa onore all’Italia, questa testimonianza ribadisce che a fare le spese della furia ideologica e nazionalistica tra il ’43 e il ’45 non furono soltanto i “nemici politici” ma soprattutto la gente comune. I contadini, i commercianti, i professionisti travolti con le loro famiglie dalla violenza della Storia.
Giorno del Ricordo
ILIAS TSILIVIDIS
IL RUMORE DEL SILENZIO
II Edizione
Foibe ed Esodo dei 350.000 italiani istriani, giuliani e dalmati – Chieti ottobre 2008
Realizzato da Azione Universitaria Chieti in collaborazione con il “Comitato 10 febbraio” e finanziato dal fondo per le Attività Culturali e Sociali degli Studenti dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara (a.a. 2007-2008).
Oggi (10 maggio 2010) è venuto a mancare Luigi Papo de Montona, un esempio per tutti gli istriani, per attivismo, dedizione e coraggio, qualità che ha sempre dedicato alla sua terra natìa…
Il nostro pensiero lo accompagna
da Roma alla bella Montona, che oggi sorride aspettando il suo ritorno…
ASSOCIAZIONE CULTURALE CRISTIAN PERTAN
Gentile signora Suraci,
ho letto con interesse il suo pezzo su Strill e ne condivido il contenuto. Amaramente ritengo che anche la toponomastica segua le mode del momento che a quanto pare sono capaci di influenzare finanche una parte dell’intellettualità reggina che compone la commissione. La saluto con stima.
massimo canale
LA MEMORIA DELL’ESILIO: ESODO E IDENTITA’ AL CONFINE DEI BALCANI
di Pamela Ballinger, Il Veltro Editrice, Roma 2010, pagg. 512.
Nell’ormai vasto panorama della ricerca scientifica sul complesso tema di Istria e Dalmazia, questo ampio studio, tradotto in italiano a diversi anni dalla stesura originaria, deve essere segnalato per alcune peculiarità, a cominciare dalla straordinaria ricchezza della bibliografia, che comprende oltre 700 titoli, accuratamente catalogati in appendice, e quel che più conta, oggetto di specifiche consultazioni documentate, anziché della semplice elencazione tipica di tanti testi che vanno per la maggiore. Un altro carattere particolare importante è costituito dal fatto che l’Autrice non appartiene al mondo della storiografia, ma a quello dell’antropologia culturale comparata, e prima ancora, dalla sua nazionalità statunitense: cosa tanto più ragguardevole, perché in precedenza gli studi americani sulla questione adriatica avevano avuto dimensioni marginali, fatta eccezione per qualche importante monografia come quella di Michael Ledeen sull’impresa fiumana di Gabriele d’Annunzio.
La Ballinger non si è limitata a svolgere un pur encomiabile “desk work” ma si è impegnata in una ricerca sul campo che ha richiesto la permanenza di circa un anno e mezzo sul posto, con presenze particolarmente significative a Trieste ed a Rovigno, arricchite da una lunga serie di interviste ad esponenti degli Istituti di ricerca ed a quelli del momento politico, e soprattutto ai protagonisti di base: da una parte, gli esuli da Venezia Giulia e Dalmazia, e dall’altra, i cittadini sloveni e croati di espressione italiani, i cosiddetti “rimasti”. Ne è scaturito un affresco di grande interesse anche dal punto di vista psicologico, in specie per l’analisi delle diverse motivazioni che, sia nell’uno che nell’altro gruppo, diedero vita, spesso dopo vivaci dibattiti familiari, alla decisione di esodare o di rimanere.
A monte dei singoli drammi, restano la grande tragedia collettiva della guerra e la consapevolezza che le ragioni ed i torti fossero difficilmente separabili, tanto più che alle responsabilità di parte italiana ed a quelle senz’altro maggioritarie di parte jugoslava si andarono a sommare le “colpe” degli Alleati, incapaci di comprendere quanto accadeva, come nel caso emblematico di Pola, dove le maggiori attenzioni delle Potenze di occupazione non furono dedicate alla grande emergenza dell’esodo ed alla sua concentrazione nell’angoscioso inverno del 1947, ma alle partenze del Governo militare anglo-americano e delle forze armate che lo supportavano (non a caso, la gestione di detta emergenza fu posta a carico del Governo italiano, con tutti gli ulteriori problemi derivanti dalla sua lontananza fisica e dalle priorità della ricostruzione postbellica).
Pagine importanti sono dedicate dalla Ballinger, secondo logica, alla questione di Trieste, dove venne creandosi il primo nucleo significativo di quella lunga stagione della politica internazionale che sarebbe passata alla storia con il nome di Guerra Fredda, e dove il dramma delle foibe conobbe momenti particolarmente tragici nei quaranta giorni di occupazione titina, dopo la fine della guerra, con una virulenza quasi peggiore di quella che aveva caratterizzato la prima “ondata” del 1943 in Istria e Dalmazia, se non altro perché elevata a sistema politicamente programmato da parte del regime comunista jugoslavo, mentre dopo l’otto settembre le esplosioni di violenza avevano assunto, in alcuni contesti, i segni di una “jacquerie” a sfondo prevalentemente classista.
L’Autrice, nonostante la sua formazione scientifica, dimostra di muoversi con discernimento nelle vicende di una storia particolarmente poliedrica come quella di Venezia Giulia e Dalmazia e di conoscere uomini e cose con una profondità motivazionale suffragata proprio dalla sua preparazione antropologica di base. Nello stesso tempo, aderisce sia pure inconsapevolmente all’assunto di Tacito secondo cui per “professare incorrotta fedeltà al vero, di ciascuno bisogna parlare senza amore e senza odio”, ma ammette che l’esperienza dell’esodo finì per segnare in maniera incancellabile la vita dei suoi protagonisti, tanto da renderne problematica la descrizione degli eventi e da farne, in tanti casi, dei veri e propri “sradicati”, come i profughi erano stati definiti, mezzo secolo prima della Ballinger, da Don Luigi Stefani, il non dimenticato Cappellano alpino esule da Zara.
L’approccio esterno, pur corretto da un’indagine metodologicamente corretta, finisce spesso per creare qualche discrasia, come è accaduto in questo volume: ad esempio, quando si afferma che Trieste è diventata “più italiana” a seguito dell’esodo istriano, e che nella città di San Giusto vennero espropriati terreni slavi per costruirvi le case destinate ai profughi; quando si sostiene che la conquista dannunziana di Fiume fu opera di una “banda” di disertori; quando si sottolinea che talune Associazioni degli esuli hanno dato soverchio spazio a personaggi “compromessi con il regime fascista” ed a pregiudiziali irredentiste che l’Autrice manifesta di non condividere; o quando si insiste sul processo di “vittimizzazione” che avrebbe contraddistinto per tutti questi decenni il movimento giuliano e dalmata, al pari degli stessi “rimasti” (sebbene alcuni di loro avessero deciso di accettare il regime di Tito per dichiarata adesione all’ideologia comunista). Peggio ancora, per alcuni infoibati non si manca di porre in luce come costoro fossero stati fascisti e collaboratori dei tedeschi, quasi per insinuare che la colpa del loro assassinio finisce per essere quanto meno affievolita: d’altra parte, non si può dimenticare che la Ballinger è americana e che, in quanto tale, non può “mentire alle proprie radici” pur cercando di restare per quanto possibile al di sopra delle parti.
Non mancano errori contingenti dovuti ad informazioni inesatte, come quando si dice che il Presidente della Federazione degli Esuli, Renzo Codarin, è stato un parlamentare di Alleanza Nazionale, o quando si chiarisce che il Cavalierato di Vittorio Veneto era un’onorificenza spettante ai nati nel 1909 (!) che nel corso della prima guerra mondiale avevano combattuto sul fronte dell’Isonzo, senza dire dell’insensibilità con cui Redipuglia viene definita un “ricettacolo” di tombe (ma nella fattispecie può avere inciso negativamente una traduzione talvolta perfettibile).
Nella generalità dei casi la Ballinger è ben documentata, anche alla luce delle opportune verifiche: ad esempio, nel porre in evidenza il carattere “sacrale” assunto dalle foibe, in particolare grazie all’opera del Vescovo di Trieste e Capodistria, Mons. Antonio Santin, od a quella di Padre Flaminio Rocchi; nella questione dei criminali di guerra o presunti tali che vennero richiesti all’Italia da parte jugoslava in misura largamente superiore a quanto era accaduto per gli altri Stati vincitori, od in quella del “processo agli infoibatori” conclusosi con un nulla di fatto a causa di opinabili valutazioni giudiziarie. Ciò, per non dire dello scandalo del pagamento di circa 30 mila pensioni dell’INPS a favore di aventi causa jugoslavi che potessero vantare periodi sia pure minimi di lavoro durante il periodo di sovranità italiana, o peggio, di servizio partigiano nell’Armata rossa di Tito (la Ballinger precisa che le pensioni versate all’estero sono circa 600 mila, per cui quelle pagate in Jugoslavia ne costituivano “solo” il cinque per cento, ma non aggiunge che avevano ben diversa matrice giuridica e che si giovano persino di reversibilità integrale).
Vengono proposti all’attenzione del lettore diversi episodi toccanti come quello del piccolo Leonardo esule dalla Zona “B” a cui il poliziotto italiano di guardia alla frontiera offre una cioccolata calda, primo tangibile segno della “diversa” civiltà occidentale; dell’usanza istriana di raccogliere il pane che fosse caduto da tavola affrettandosi a baciarlo per riconoscerne la sacralità; o delle ricorrenti visite di tanti esuli (anche per l’etimo, cacciati “extra solum”, secondo la definizione datane tredici secoli or sono da Isidoro di Siviglia) alle tombe rimaste in Istria, come manifestazione di “pietas” e segno di religiosità, ma nello stesso tempo di tutela sia pure minima dell’ultimo simulacro di italianità.
Pamela Ballinger conosce bene la storia, dal patto di amicizia italo-jugoslava del 1937 alle ragioni che la infransero quattro anni dopo; dall’impegno nella RSI di uomini come Carlo Mazzantini, sensibili soprattutto al richiamo dell’onore, al fatto che l’Italia abbia avuto, assieme alla Danimarca, la più alta quota percentuale (quasi nove decimi) di ebrei sopravvissuti all’Olocausto nell’ambito dell’Europa occupata, secondo la testimonianza di Susan Zuccotti; dalle vicende del “diktat” alla drammatica farsa di Osimo, a proposito della quale non esita a porre in evidenza che il voto di ratifica in Parlamento sarebbe stato “incentivato” da compiacenti bustarelle, ben più potenti della definizione di “trattato imbecille” datane dall’On. Giacomo Bologna, democristiano dissidente, e dell’opposizione sostenuta dalla Lista per Trieste, di cui viene messo in luce il limite derivante dall’aggregato interpartitico.
Resta il fatto che nove italiani su dieci decisero di esodare e che molti di costoro, come rileva la Ballinger, erano di sinistra: quella di partire non fu una scelta, ma un’opzione largamente maggioritaria, che in tanti casi ebbe per motivazione saliente il “pensare al futuro dei nostri figli” (in altri termini, una ragione non già ideologica ma pragmatica, al pari di quella di tutti coloro che fuggivano per il rischio di infoibamento). Resta il fatto che l’accoglienza in Italia fu spesso matrigna, tanto da spingere all’emigrazione un quarto dei profughi e da alimentare nei loro cuori un sentimento di profonda delusione nei confronti della Patria, o meglio della sua classe politica responsabile di averli traditi ancora una volta (era già accaduto ai dalmati nel 1919 ed ai fiumani nel 1920). E resta il fatto che tutti gli istriani sono stati vittime, compresi i pochi “rimasti” costretti ad annegare in un oceano slavo, secondo la felice espressione di Loredana Debeliuh Bogliun.
Oggi, molti esuli “provano malessere” quando tornano a Pola, a Fiume od a Zara ed avvertono una lontananza siderale dalla loro terra, sebbene geograficamente vicina. Ecco un sentimento che spesso si cerca di sopire e che l’Autrice ha il merito di avere posto nella giusta luce, pur senza essere in grado di indicare una terapia idonea a superare questa sensazione di ineluttabilità: dopo tutto, non tocca prioritariamente a lei, che è americana, proporre soluzioni od antidoti, Ciò compete con tutta evidenza al movimento giuliano e dalmata e prima ancora ai tanti protagonisti della complessa vicenda adriatica, chiamati a trovare conforto nella fede ed a trasmettere alle generazioni avvenire l’impegno di realizzare il proprio sogno di giustizia.
carlo cesare montani
Per un nuovo modo di fare Politica
INCONTRO NAZIONALE
delle reti civiche e dei movimenti
Domenica 15 maggio 2011 – Bologna
Spazio Verde – Parco della Montagnola a 4 min dalla stazione di Bologna
ore 9.30 Saluto e presentazione dei gruppi e delle reti partecipanti
ore 10 Presentazione: “Un progetto politico, civico e dei movimenti”
ore 10.30
FRANCUCCIO GESUALDI Centro Nuovo Modello di Sviluppo
“Voglio cambiare il mondo… ma come?” Discussione del questionario online pubblicato su http://www.MovimentoCivico.it
GUIDO VIALE Economista e scrittore italiano
“Riciclo totale – rifiuti zero”
LUCIANO CAPITINI Fondazione Aldo Capitini
“Politica e strategie non violente”
SABRINA ARCURI Autrice libro sul referendum pubblicato da EMI
“Nucleare si? Nucleare no”
TOMMASO FATTORI Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua
“Beni comuni: primo H2O”
ELIO VELTRI Presidente di Democrazia e Legalità
“Legalità e democrazia”
DARIO RINCO Rete Civica Italiana
“Democrazia diretta: la parola ai cittadini”
Question time (domande di 1 minuto)
a cura di MICHELE BOATO e MARZIA MARZOLI
ore 13 Pausa pranzo
ore 14 Gruppi di lavoro sui temi della giornata:
– programma politico e campagne sui temi concreti
– per una rete nazionale e le regole di garanzia
ore 15 Report dei gruppi e dibattito (interventi da 2 minuti)
ore 16 Decisioni
ore 17 Brindisi di saluto
Informazioni su:
http://www.MovimentoCivico.it
Il senso di questo incontro nazionale
Il 15 maggio si riuniranno a Bologna le reti civiche ed ecologiste regionali che intendono promuovere un nuovo soggetto politico alternativo, per portare un cambiamento nel paese e garantire ai cittadini la partecipazione diretta alle decisioni politiche.
La legge elettorale e il sistema partitico hanno escluso il cittadino da qualsiasi possibilità di partecipazione, da qui la necessità di creare una nuova forma organizzata:
una lista civica ed ecologista nazionale costituita su base federativa, aperta a tutte le organizzazioni, associazioni, comitati e singoli cittadini che potranno parteciparvi mantenendo la propria identità e le proprie specificità.
Gli obiettivi dell’assemblea del 15 Maggio 2011 sono dar vita a un comitato promotore del nuovo soggetto, discutere, lanciare e sostenere alcune campagne concrete su:
– difesa del territorio
– legalità
– economia solidale
– democrazia diretta
– le campagne referendarie
Difesa del territorio
Assistiamo ogni giorno all’aggressione e al consumo del territorio. Colate di cemento utili solo all’arricchimento di speculatori e politici, di qualsiasi sponda, corrotti o complici. L’ambiente è sempre più inquinato, la nostra salute sempre più minacciata e ancora vogliono imporci modelli superati e pericolosi come le centrali nucleari.
In Italia migliaia di comitati e la campagna Stop al Consumo del territorio sono l’ultima resistenza reale a questo sfacelo.
A loro vogliamo dare voce, con loro vogliamo fare rete per ottenere risultati concreti
Legalità
Riportare il nostro paese sulla via della legalità è una priorità per tutti, ma non per i nostri politici che in questi anni non hanno fatto altro che aumentare la propria impunità. La criminalità organizzata è entrata in maniera diffusa nel tessuto sociale, politico e amministrativo. Secondo la Corte dei Conti la corruzione ci costa 50/60 miliardi all’anno. I beni mobili e immobili delle mafie italiane vengono valutati oltre 1000 miliardi di euro.
Il Procuratore Grasso scrive che i beni sequestrati equivalgono al 10% dei beni totali delle mafie italiane, mentre i beni confiscati sono appena il 5% dei beni totali. Il 70% dei beni confiscati non è utilizzato o venduto.
Economia solidale
La ricerca di profitti sempre più grandi per pochi, si traduce per molti in sofferenza, inquinamento, corruzione, guerre, crescenti disuguaglianze. L’economia dello sviluppo illimitato e del consumismo deve essere sostituita da un modello di società basata sul consumo responsabile, da una economia solidale che crei ricchezza condivisa e lavoro. Occorre individuare una modalità di collaborazione con il mondo dell’economia solidale (GAS, DES, RES) rispettandone l’indipendenza.
Democrazia diretta
E’ ciò che vogliamo praticare a partire da noi stessi, promuovendo un modello organizzativo federato su base regionale. I portavoce verranno espressi con voto diretto, i soggetti organizzati aderenti manterranno la propria autonomia decisionale a livello territoriale, verranno applicate forme di tutela legale e patrimoniale per vincolare i candidati al mandato e al programma, tutti saranno impegnati a non percepire compensi superiori al 50% degli emolumenti previsti, verrà posto un limite ai mandati per gli eletti e non potranno ricoprire più di un incarico.
La riforma elettorale, l’abolizione dei vitalizi, la drastica riduzione di tutti i compensi e privilegi, l’obbligatorietà di rispettare mandato e programma, il limite ai mandati, il divieto di ricoprire più di un incarico, il conflitto di interessi, saranno gli obbiettivi della nostra battaglia per riformare la politica e abolire i privilegi della casta.
Le campagne che proponiamo di sostenere
– Si ai Referendum
– Settimana Democrazia Diretta
– Stop al Consumo del Territorio
– No ai Vitalizi
– Riciclo totale – rifiuti zero
Partecipa
Durante la giornata del 15 maggio sarà possibile lasciare i dati per poter essere ricontattati e informati via e-mail. La giornata sarà condotta da un gruppo di facilitazione. Anche i gruppi di lavoro del pomeriggio saranno gestiti da facilitatori.
Quota minima di partecipazione: 5 euro per contribuire alle spese
http://www.MovimentoCivico.it
SESSANTACINQUE ANNI DOPO LA STRAGE DI VERGAROLLA
una grande Stele in memoria dei Caduti scoperta a Trieste nella Zona Sacra di San Giusto
Vergarolla è una piccola spiaggia del Golfo di Pola, a breve distanza dal centro cittadino, dove il 18 agosto 1946 fu perpetrato un delitto contro l’umanità: la più grande strage non dovuta a cause naturali che sia mai stata compiuta sul territorio italiano in tempo di pace (all’epoca, la guerra era finita da 16 mesi ed il capoluogo istriano apparteneva sempre all’Italia, che lo avrebbe ceduto alla Jugoslavia col trattato di pace, o meglio col “diktat” del successivo 10 febbraio).
Si legge spesso che il triste primato apparterrebbe alla bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, capace di uccidere 85 persone, ma si dimentica che a Vergarolla ci furono oltre cento Vittime (il numero esatto non è noto, perché molte furono letteralmente disintegrate da dieci tonnellate di tritolo contenute in circa trenta mine di profondità accatastate sulla spiaggia, ma una testimonianza assai attendibile come quella di Padre Flaminio Rocchi lo ha definito in 109). Va precisato che tutti i Caduti furono Italiani, perché Pola era una città italiana.
La matrice terroristica dell’evento fu subito chiara, in specie per gli abitanti di Pola, la cui scelta per l’Esodo venne tragicamente consolidata dall’attentato, tanto che nel giro di pochi mesi coloro che lasciarono i propri focolari, le proprie attività e le tombe di famiglia, ovvero gli affetti più cari, furono pari al 92 per cento della popolazione. A conti fatti, restarono appena tremila persone: il 15 settembre 1947, data del passaggio di sovranità, Pola era una città deserta.
Alcuni anni or sono, l’apertura degli Archivi del Foreign Office (l’amministrazione di Pola era in mano britannica) ha chiarito definitivamente la vicenda anche sul piano formale, dando nome e cognome ad un gruppo di attentatori appartenenti all’OZNA, la polizia politica del regime jugoslavo. La guerra era un ricordo tuttora angoscioso, ma in quella bella domenica di agosto si voleva soltanto celebrare il sessantesimo anniversario della gloriosa Società “Pietas Julia” con una manifestazione sportiva d’interesse nazionale (Coppa Scarioni): le sorti del capoluogo istriano erano appese ad un filo, eppure la speranza era sempre in vita. Fu spenta in un baleno, nello schianto di un’esplosione terrificante.
A proposito delle matrici dell’eccidio, si deve aggiungere (onde cancellare gli ultimi dubbi meramente strumentali e pervicacemente alimentati da qualche nostalgico del vecchio regime jugoslavo) che l’ultimo numero di “Istria Europa” riporta una nuova testimonianza del Direttore Lino Vivoda, ex Sindaco del Comune di Pola in Esilio, che a Vergarolla perse il fratellino Sergio di otto anni: secondo questa testimonianza, un responsabile dell’efferato delitto fu vinto dal rimorso per la barbarie compiuta e chiese perdono prima di suicidarsi. In merito, si deve soltanto dire che i delitti contro l’umanità danno luogo a reati eticamente imprescrittibili, la cui remissione può essere affidata alla sola, infinita pietà del “Dio che atterra e suscita”.
La scopertura di una grande Stele eretta in memoria delle Vittime nella Zona Sacra di San Giusto, che ha avuto luogo il 18 agosto, ricorrendo il sessantacinquesimo anniversario della strage, acquista un significato che non è soltanto simbolico.
Infatti, il monumento intende affidare al compianto ed alla preghiera dei posteri il ricordo delle Vittime innocenti, fra cui tante donne e tanti bambini (l’età media è stata calcolata in 26 anni), ma nello stesso tempo costituire un monito a percorrere universalmente “le vie della Giustizia e dell’Amore” secondo l’auspicio di Mons. Antonio Santin, l’eroico Vescovo di Trieste durante gli anni bui, ben ricordato nell’allocuzione che il Gen. Riccardo Basile, Presidente della Federazione Grigioverde e della Famiglia di Pola in Esilio, ha pronunciato nella circostanza, ricordando il fatto storico, le sue matrici, e soprattutto le conseguenze, tradottesi in un Esodo davvero plebiscitario.
Sono intervenuti, assieme a diversi Congiunti delle Vittime, il Comune di Trieste in persona dell’Assessore Edera con il Gonfalone cittadino decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare, cui sono stati resi gli onori di prammatica; l’Amministrazione Provinciale con l’Assessore De Francesco, le Associazioni d’Arma presenti nella Grigioverde, il Libero Comune di Pola in Esilio col Vice Sindaco Sidari ed il Consigliere Vivoda, l’ADES e le Organizzazioni degli Istriani con il Presidente Lacota e le Famiglie aderenti (tutte con i propri Labari). Particolarmente cospicua è stata la presenza dell’ANA, con la Sezione di Trieste ed il Gruppo di Grado e Fossalon a cui appartiene, tra gli altri, il Parroco Don Edoardo Gasperini, testimone miracolosamente scampato alla strage di Vergarolla.
Prima della benedizione, impartita da Don Gherbaz, Esule da Lussino, la signora Annamaria Muiesan Gaspari, Esule da Pirano e figlia di un Martire delle foibe, ha dato lettura dei Nomi delle Vittime identificate, riportati sulla Stele con l’indicazione delle rispettive età.
In apertura, il Presidente Basile aveva letto vari messaggi, ed in primo luogo quello fatto pervenire dal Vescovo di Trieste, Mons. Crepaldi, impossibilitato ad intervenire perché impegnato all’estero assieme al Santo Padre Benedetto XVI, ma presente alla cerimonia con espressioni di solidale e sensibile partecipazione.
Un forte applauso è stato riservato, poi, all’indirizzo di saluto inviato dal Prof. Daniele Ria, Sindaco di Tuglie (Lecce), città che ha manifestato costanti attenzioni nei confronti del dramma istriano, fiumano e dalmata – non solo nella celebrazione del “Giorno del Ricordo” – tanto da avere inviato a Trieste in rappresentanza del Comune due giovani concittadine, Francesca Aloisi e Gloria Caputo, che hanno posato sul Monumento la corona votiva di rito ed hanno consegnato alle Autorità presenti, come omaggio dell’artigianato salentino al capoluogo giuliano, un bassorilievo ligneo raffigurante Piazza dell’Unità. Con questo gesto, Tuglie ha confermato una sensibilità patriottica particolarmente sentita, manifestata, tra l’altro, nel Sacrario eretto in onore della Madonnina del Grappa quale ricordo perpetuo dei Caduti nella prima Guerra Mondiale, fra cui tanti tugliesi.
Il Presidente Basile, tra i messaggi giunti, ha dato lettura anche di quello inviato da Wanda Muggia, che a Vergarolla perse il fratellino Vitaliano di 14 anni e sfuggì alla strage per circostanze fortuite. Oggi, Wanda vive a Lucca: non ha avuto cuore di partecipare alla cerimonia, come ha evidenziato nel suo indirizzo di saluto, perché non avrebbe retto alla commozione, ma ha voluto testimoniare una sentita e commossa presenza spirituale.
Assai toccante è stato il momento in cui il vessillo tricolore posto sul grande Cippo in Pietra del Carso, dono della Cava Romana di Aurisina, è stato rimosso da due Esuli eredi dei Caduti (Elio Dinelli e Renata Succi Martin, che nella strage persero, rispettivamente, cinque e tre Congiunti); seguito subito dopo dalle struggenti note del Silenzio fuori ordinanza.
Non è un caso che la Stele, opera di Marco Mosetti che vi ha collocato circa 1500 elementi bronzei, sia stata collocata accanto a quella che ricorda i Volontari giuliani, istriani e dalmati decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare, tra cui coloro che, come Fabio Filzi e Nazario Sauro, lasciarono la vita sulle forche dell’Austria perché avevano un solo partito: l’Italia. Al pari dei 16.500 infoibati di cui alla ricerca di Luigi Papo e dei 350 mila Esuli che testimoniarono con la diaspora in tutto il mondo l’adesione ai valori “della Giustizia e dell’Amore” invocati da Mons. Antonio Santin, il grande Presule in odore di santità.
l.b.
Esule da Pola
Gentile Signora
mi complimento per il suo blog e per i suoi articoli. Noi stiamo combattendo una battaglia per la revisione storica del “risorgimento” , affinchè si possa scrivere chiaramente sui libri scolastici la verità su questa occupazione piemontese, avvenuta a colpi di baionetta che lasciarono per le nostre strade centinaia di migliaia di morti innocenti (donne vecchi e bambini compresi), Vorremmo che si dicesse chiaramente del saccheggio delle nostre banche e del nostro erario, della distruzione totale del nostro tessuto industriale e di come fummo ridotti a loro colonia ( e lo siamo ancora!!, i dati economici dal 1861 ad oggi parlano chiaro). Possiamo contare sulla sua collaborazione?
Grazie per i complimenti. Sono certamente disponibile ad una collaborazione
fattiva per l’affermazione del nostro territorio.Considero questo impegno un
diritto e un dovere. Saluti.
Ho letto tutti i commenti alla presentazione che Mimma Suraci ha fatto di sé stessa con orgoglio meridionale. Proseguendo nella lettura dalla Calabria siamo risaliti, lungo la penisola, all’Istria e alla Dalmazia, in un viaggio ideale con persone, di località diverse, che, in gran parte, si sentono della stessa terra e, seppure anche anagraficamente diverse, dello stesso tempo. Forse le celebrazioni formali dell’unità d’Italia saranno servite certamente più agli inserzionisti commerciali che a suscitare interesse verso la storia vera d’Italia che non è cominciata nel 1861 e non ha avuto salti ventennali nel suo percorso.
grazie a tutti.L’onestà e la lealtà intellettuale non conoscono confini territoriali e parlano un linguaggio che si fonda sulla ricerca del vero, del giusto e del bello.
PENSO CHE SALVATORE SANTAMARIA CONDIVIDERA’ MA ANCHE TUTTI I MERIDIONALI CHE LA STORIA LA CONOSCONO DAVVERO. MA ORMAI L’ITALIA E’ FATTA ED E’ STUPIDO DIVIDERLA COME VORREBBERO GLI SCIACALLI DELLA LEGA. ANCHE LORO HANNO USUFRUITO DELLA FAMOSA CASSA DEPOSITI E PRESTITI ALIMENTATA DALLE RIMESSE DEI MERIDIONALI ALL’ESTERO CHE SONO SERVITI SOLO PER SVILUPPARE LE INDUSTRIE DEL NORD. ALTRO CHE MERIDIONALI POPOLO DI PARASSITI! CHE STRONZI INCIVILI ED ANALFABETI! OGGI QUESTA ITALIA BISOGNA RENDERLA PIU’ GIUSTA E PIU’ RICONOSCENTE VERSO I TANTI MERIDIONALI CHE SI SONO SACRIFICATI PER FARLA CRESCERE (O CHE SONO STATI SACRIFICATI NELLE TRINCEE DEL CARSO NELLA GUERRA DEL 1915-18 PER COSTRUIRLA).
Salvatore Armando Santoro
http://www.circoloculturaleluzi.net
http://www.poetare.it/santoro.html
EVVIVA GARIBALDI
Evviva Garibaldi il grande seduttore
del mezzogiorno un dì liberatore
con suoi soldati male equipaggiati
che Rubattino a Quarto ha foraggiati
Non penso fosse sponsor naturale
forse qualcuno s’è informato male.
Infatti, anche Vittorio Emanuele
già sapeva del furto delle vele,
visto che Farini già era informato
che Rubattino voleva esser pagato!
Insomma il via da Quarto genovese
era come il segreto del marchese
che aveva scritto anche sulla scala
che i Mille andavano a Marsala.
In gran silenzio insomma son partiti
mentre gli inglesi stampavano gli inviti:
“A giorni spettacolo dei pupi
prendere posto in spiaggia sui dirupi”.
“Per vedere arrivare gli invasori
con Garibaldi e i suoi liberatori”.
Arrivati laggiù, è facile intuire,
che i Borboni dovessero fuggire.
Invero come accade molte volte
è uno scherzo far riuscire le rivolte.
Difatti se i comandanti son pagati
e facile poi dire: “son scappati!”.
A parte qualche finta scaramuccia
a Palermo si trovò soltanto “ciuccia” (*)
per la felicità dei giovani invasori,
accolti dalla mafia e dai signori
al suono della banda e dei tromboni
agitando le drappelle ed i blasoni.
Così poi si concluse l’invasione
finita in sesso e grande libagione.
Ma appena Garibaldi salpò via
riprese la manfrina e cosi sia.
L’arruolamento divenne obbligatorio
e il contadino messo in purgatorio
con quasi trenta tasse da pagare,
le industrie della seta da smontare
e coi soldati fedeli a “Franceschielle”
da farsi massacrare a Fenestrelle.
Davvero un bell’inzio siciliano
e a tanti scassò non solo l’ano.
Della strage del Bronte sorvoliamo
ma a investigare bene vi invitiamo
come sarebbe da guardare a fondo
la lotta dei braccianti al latifondo.
La verità la sa il liberatore:
ma fu un eroe oppure un predatore?
Salvatore Armando Santoro
(Boccheggiano 18.1.2011 – 21.25)
(*) Ciuccia – chiedete agli Abruzzesi cosa sia. Benigni la chimerebbe la “susina”, ma penso che l’abbiate capito tutti. L’attore Antonio Albanese in siciliano direbbe: “U pilu”.
Questo commento non farà scomporre più di tanto i comitati pseudo-risorgimentali ancora vivi da qualche parte e neppure gli organizzatori che hanno festeggiato i 150 dell’unità d’Italia. Infatti l’ho postato e l’ho letto solo io. Ed una sola persona, anche se dice la verità può essere considerata innocua. Insomma, posso continuare a vivere tranquillo perché non disturberò i sonni di coloro che hanno raccontato un sacco di balle sui libri di scuola scritti da chi ha invaso il sud senza dichiarargli neppure guerra.