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Archive for novembre 2011

Governatore Scopelliti rilanci la Calabria o lasci

Di Piero Sansonetti
CalabriaOra  del 21 novembre 2011

La «luna di miele di Giuseppe Scopelliti – notava ieri sul nostro giornale Bruno Gemelli – è finita». Per tante ragioni, che Gemelli ha spiegato in modo lucido, e soprattutto per una: l’uscita di scena del governo Berlusconi cambia tutto nella politica italiana, cambia anche i rapporti di forza nelle province estreme dell’impero e dunque in Calabria.
In che senso? Nel senso che saltano tutti gli automatismi, e si disgregano le rendite di posizione. Non serve più a niente aver vinto le elezioni regionali, dopo aver vinto due volte quelle al Comune di Reggio, e aver portato il proprio partito a rovesciare decine di giunte di sinistra, nelle città più importanti e in molte province: “game over”, si riparte da zero. Ora contano solo due cose: i problemi concreti e le proprie idee politiche (relative ai problemi concreti). Anche il carisma è tutto da ricostruire, quello conquistato sin qui sul campo è andato “fuori corso”, vale quanto le lire. Questo succede a sinistra come a destra, riguarda tutti, ma riguarda soprattutto Scopelliti non solo perché è lui il governatore, ma perché, attualmente, è l’unico leader politico effettivo presente nella nostra regione.
Naturalmente a noi interessa relativamente il futuro personale di Giuseppe Scopelliti. Ci interessa però una cosa: in quali condizioni la Calabria affronterà questa fase politica, nella quale si deciderà quasi tutto sull’Italia dei prossimi dieci anni, su come si distribuiranno le risorse, su come si stabiliranno i rapporti sociali e su quale filo di equilibrio regolerà la convivenza tra  Nord e Sud. Proviamo a spiegarci meglio: se la Calabria non riesce a sedersi al tavolo di negoziato nazionale nel quale si deciderà chi dovrà pagare di più e chi meno e dove saranno collocati gli investimenti per la ripresa economica, e se non riesce, a quel tavolo, ad imporre le sue ragioni, la Calabria è spacciata, è destinata, per almeno un decennio, a proseguire la sua corsa verso la povertà e verso la disperazione sociale.
Perciò ci rivolgiamo al presidente Scopelliti e in modo assolutamente semplice e sincero gli rivolgiamo un appello: Presidente, metti da parte ogni calcolo di tattica politica, ogni interesse personale, ma anche ogni moderazione e ogni prudenza, e scendi, con furia, sul campo della battaglia politica. Al tavolo nazionale presentati con piglio e rabbia, fai pesare le ingiustizie di questi cent’anni e anche dei 130 anni precedenti, batti cassa, e chiedi un impegno gigantesco,politico e finanziario, del governo per  salvare il Sud, e la Calabria e per farli diventare il volano della ripresa.

Le sirene dello stretto

Le sirene dello Stretto  Ermonde Leone
Spiega ai romani, e ai milanesi, che il Sud non è il problema ma è la soluzione del problema. Che la ripresa e il rinnovamento del paese non possono partire né da Monza né da Roma – perché Monza e Roma non hanno lo spazio, la forza, e tantomeno la capacità politica per diventare locomotiva – ma possono partite solo dal Sud (e dal Sud del Sud, cioè dalla Calabria) perché il Sud ha spazi enormi di ripresa, e ha voglia di ripresa, e ha la forza che serve. Non solo di ripresa economica, ma di ripresa civile: l’Italia ha un enorme bisogno di modernizzazione, ma per modernizzazione si intende aumento dei diritti e del peso della gente, del popolo, e non diminuzione dei diritti e della democrazia, e il Sud – che di questi diritti ha beneficiato, finora, ben poco – è il luogo dal quale questa modernizzazione può partire. Il Sud, caro presidente, è diventato  non solo un “territorio” ma una entità politica autonoma e decisiva.
Se la sente, presidente, di prendere di petto la questione, di alzare la voce, di entrare, se serve, in conflitto anche con pezzi del suo schieramento politico, e di guidare una vera e propria rivolta del Mezzogiorno?
Se non se la sente – glielo diciamo senza cattiveria, senza giubilo, ma con stima e sincerità – è meglio che si faccia da parte, che rinunci, perché un “obiettivo intermedio” – tra vittoria e sconfitta, fra ripresa e declino, tra modernità e reazione – non esiste più.
Se la Calabria non inizia subito la sua rimonta politica, e introno a questa rimonta costruisce una nuova classe dirigente, la Calabria finirà nel dramma sociale. Nessuno sa quale può essere lo sbocco dell dramma sociale, dove possono portare la ribellione, la protesa, la furia del popolo. La Calabria è sempre stata un regione tranquilla, mansueta: però nell’ultimo secolo e mezzo, in due o tre occasioni, ha fatto vedere quanto è capace di esprimere la sua rabbia, quando non vede all’orizzonte nessuna speranza.

Questo articolo mi ha fatto venire la pelle d’oca. Veramente. Non so e non voglio sapere se Sansonetti svolga in questo caso un ruolo politico di parte. Personalmente  gli riconosco onestà intellettuale e coraggio e, pur non condividendo le sue posizioni politiche, mi ritrovo spesso con le sue opinioni leali e coraggiose. Leggendo quest’articolo mi sono venuti sul serio i brividi, perchè  mi sono sentita toccata nei miei sentimenti di calabrese e meridionale e  partecipe di quella rabbia accumulata nel tempo, ormai secolare, che deve esprimersi ormai magari in modo rivoluzionario e decisivo. Avevo sperato che Scopelliti fosse l’uomo nuovo, anche perchè essendo giovane e motivato potrebbe evere l’entusiasmo necessario per porsi in maniera prepotente ,intransigente e anche trasgressiva, rispetto ai canoni ipocriti dell’inciucio all’italiana, per affermare il nostro territorio, quello meridionale, il primo italiano per storia, cultura e risorse. Non vorrei che si lasciasse ammaliare dal canto delle sirene, che dalle nostre parti hanno trovato sempre un habitat favorevole, piombando in un’estasi estranea alla realtà. Carpe diem,bisogna cogliere l’attimo senza indugi  e rompere gli ormeggi perchè il tempo scorre velocemente; occorre guardare avanti, e io sono sempre pronta a fare la mia parte per fare esplodere la rabbia che mi ribolle dentro.

Le sirene dello stretto

26/08/08

Arriverà un’alba,
i cui colori saranno tenui
come lo scorrere della notte
senza nuvole.

Che sia come il canto delle sirene?
Pericolosamente incantevole…

Ho trovato questi versi per caso in Fotolog  non so chi li abbia scritti ma mi piacciono e sono appropriati al post

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Stretto di Messina-foto di Peppe Caridi

Ho trovato tra le mie carte quest’articolo pubblicato da Il Quotidiano sabato 27 settembre 2003  nel quale  Michelangelo Cimino proponeva una riflessione

sul pensiero meridiano di Franco Cassano, sociologo, docente universitario.

L’idea dell’autonomia del pensiero meridionale, elaborata  con un percorso sofferto da un intellettuale impegnato come Cassano è particolarmente affascinante e coincide con le mie convinzioni come cittadina del Mediterraneo.

Pubblico l’articolo perchè ritengo le idee di Cassano particolarmente attuali e  dovrebbero essere oggetto di studio per i responsabili della nostra res publica.

Una volta di più occorre registrare l’impossibilità di un discorso compiuto sul presente, se non si parte dalla data-simbolo dell’ottantanove. La caduta del muro di Berlino, sostiene Franco Cassano, non ha “segnato la vittoria della libertà sul totalitarismo e del libero mercato sull’economia pianificata”. Questa è, semmai, una interpretazione a uso e consumo dei vincitori della guerra fredda. “L’Ottantanove rappresenta, invece, una mutilazione della tradizione occidentale, suddivisa in polo della libertà e dell’uguaglianza. Il crollo del comunismo segna la caduta del valore di uguaglianza a favore di quello della libertà, che tende all’esaltazione del libero mercato e al ridimensionamento del welfare”.

Pochi ‘eletti’ narcisi non bastano a sconfiggere il cinismo del Grande Inquisitore

Franco Cassano

Una impostazione di fondo che trova d’accordo Alain de Benoist : ” L’affermarsi del monoteismo del libero mercato, del dio unico che dispensa una unica verità”  è un portato della disintegrazione del sistema sovietico”.
Per entrambi i filosofi, dunque, l’oggi risulta legato a filo doppio all’Ottantanove, data che segna la fine della modernità e l’accesso nell’era del post-moderno.

Il punto centrale del discorso di Cassano consiste in una idea di Europa che riesca a porre un freno al fondamentalismo del mercato diffusosi in Occidente dopo la caduta del Muro. Un’Europa, insomma, votata alla mediazione, ” al recupero della dialettica tra libertà, protezione ed uguaglianza; che abbia memoria del fatto che il welfare è stata una invenzione in cui libertà ed uguaglianza hanno convissuto per decenni”.

Perchè l’Europa possa attendere a questo compito epocale, è necessario che ” smetta di gravitare intorno all’Ovest” e instauri un nuovo rapporto con il Sud.

Innanzitutto, abbandonando una volta per tutte l’idea che esso non è ancora l’Ovest. ” il Mediterraneo- dice Cassano- è luogo d’incontro fra un tempo non ancora colonizzato dall’economia e un’idea antica di convivenza e socialità. Chi vive sul confine è irriducibile all’integralismo perchè si incontra sempre con l’altro”.

Stretto di Messina-foto di Peppe Caridi

Il Mare Nostrum, però, è anche il centro di una idea del divino complessa e ambigua, che accanto a Javeh, il Dio di Abramo, pone il culto neo-pagano del dio Vulcano. E’ la tesi, invero affascinante, del filosofo Bruno Pinchard, secondo il quale se vogliamo avere una vera cultura mediterranea dobbiamo essere capaci di unire Javeh e Vulcano. Vale a dire un’idea del divino che proviene dalla cultura illuministica e un’altra che, invece, risale ai culti misterici precristiani.

Per Alain de Benoist una delle ricadute negative che il capitalismo globalizzato provoca sulla vita dei singoli e “la mercantilizzazione dei comportamenti”. Naturalmente non c’è campo che si salvi dagli sconvolgimenti provocati dalla globalizzazione : la politica, ormai ridotta ad espertocrazia, e non più a ricerca del bene comune; e soprattutto la società, divenuta un concentrato invisibile di rischi. E il rischio è diverso dal pericolo, che è minaccia concreta e visibile. Esso, il rischio, invece, è qualcosa di esteso, immanente, inafferrabile, non localizzabile. La trasmissione virale è l’immagine che meglio rende l’inafferrabilità del rischio. Ora, siccome essere contro la globalizzazione è come essere contro l’automobile, occorre reagire con giudizio.

Un primo passo potrebbe essere quello di procedere contro il globale, l’infinitamente grande, e tornare al locale, alle città, alle piccole comunità. In questo processo di  riacquisizione dello spazio locale, potrebbe entrare in gioco il ruolo di una Europa, che di fronte al tentativo degli USA di instaurare un mondo unipolare, richiami l’attenzione sulla ricchezza di un mondo multipolare, in cui gli individui possano essere valorizzati nelle loro specificità.

In questo contesto il Mediterraneo ha un ruolo centrale, porta già nel nome l’idea di mediazione e dovrebbe essere un luogo dove sperimentare una pace giusta : e non solo una pace come assenza di armi, ma una pace come incontro. Tutti i popoli del Mediterraneo si conoscono, hanno una storia in cui ogni costa è stata attraversata dagli altri, ha conosciuto sbarchi… Ecco: occorre riuscire a costruire in questi luoghi una grande stagione di pace, in modo tale che l’Europa divenga protagonista attiva di questo processo.

C’è da considerare il fatto che molte divisioni  non sono divisioni tra i popoli, ma derivano da interessi geopolitici, tante volte esterni all’area. Per cui, le linee di divisione nascono dal fatto che il baricentro non è più l’Europa.

Esistono, dunque, tante dimensioni comuni ai popoli mediterranei  e tanti elementi di differenza. Si potrebbe dire che il monoteismo unisce, ma è vero soltanto in parte, tenedo presente che nel mediterraneo sono concentrate le tre grandi religioni monoteistiche, la cristiana, l’islamica e l’ebraica.

Alla luce di queste riflessioni possiamo concludere che il Mediterraneo oggi può rappresentare un progetto attraverso il quale si vuole dare all’Europa la chance di giocare la carta di un’altra idea di Occidente, lontana dalla deriva fondamentalista dell’Occidente e, quindi, più capace di lottare contro il fondamentalismo religioso. E, ultimo passaggio, più capace di costruire una unità del Mediterraneo, in cui le diversità non siano abolite, ma si siano abituate a convivere e a scambiare la ricchezza di doni simbolici e culturali che ognuna di esse possiede.

Per Franco Cassano, dunque :

“… pensiero meridiano non vuol dire apologia del sud,
di un’antica terra assolata ed orientale,
non è la riscoperta di una tradizione
da ripristinare nella sua integrità.

Pensiero meridiano
è quel pensiero che si inizia a sentir dentro
laddove inizia il mare,
quando la riva interrompe gli integrismi della terra
(in primis quello dell’economia e dello sviluppo),
quando si scopre che il confine
non è un luogo dove il mondo finisce,
ma quello dove i diversi si toccano
e la partita del rapporto con l’altro
diventa difficile e vera.” 

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