Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘Muro di Berlino’

In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.
Sino all’ essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.
Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini , degli avvenimenti,
sentire,amare, vivere, pensare
effettuare scoperte
Boris Pasternak

Quella sera abbiamo brindato. Alla notizia che finalmente il Muro di Berlino cadeva, abbiamo brindato alla vittoria della democrazia e il mio primo pensiero è stato per mia madre, mancata sei mesi prima, che ogni volta che sentiva le difficoltà e le persone morte -uccise dalle guardie di controllo mentre tentavano di scavalcare il Muro si addolorava. Sarebbe stata contenta la mia mamma, ultrafelice.

murojpg

Sono cresciuta negli anni del dopoguerra, quando noi piccoli, mentre giocavamo, salutavamo così un aereo, di qualsiasi nazionalità, che sorvolava le nostre teste  nel cielo ” l’apparecchio americano butta bombe e se ne va”, senza capire bene, allora, considerata l’età infantile, il senso di quelle parole, ma evidentemente era una frase che circolava tra gli adulti.

Sono cresciuta negli anni della cosiddetta “guerra fredda”, senza traumi politici.. Ogni tanto i mezzi di informazione ci ricordavano che il Pentagono e il Kremlino detenevano il potere mondiale e che sarebbe stato sufficiente che il Presidente di uno dei due Paesi, Russia e USA, pigiasse un bottone dei comandi che si portavano sempre appresso nella famosa valigetta, perchè scoppiasse il terzo conflitto mondiale dalle conseguenze catastrofiche.

Sono cresciuta, dunque, ho studiato e, donna in carriera, madre di Peppe e Gianni e in attesa di Rita con un marito agrodolce, quale notizia migliore se non quella di sentire che il Muro di Berlino cadeva ? la guerra fredda era finita finalmente. l’Europa poteva vivere in pace, la caduta del Muro di Berlino rientra nella Peretroika, nuovo corso della politica russa promosso dal Presidente Gorbaciov, impegnato in un percorso di rinnovamento interno e attento ai rapporti internazionali.

Ma anche no, ahimè ! Gira e rigira la fame di conquista è infinita e l’America allarga sempre più il proprio potere di egemonia sull’Europa disseminando Basi Nato dappertutto, facendo leva su un accordo con i Paesi cosiddetti Occidentali denominato Patto Atlantico, un accordo che di fatto è una dipendenza delle Nazioni che ne fanno parte dagli USA, che, ne esercitano un comando assoluto..

pasternakjpg

Sono cresciuta e sono invecchiata sempre studiando. e nei miei studi hanno avuto e hanno tuttora molto spazio gli scrittori russi, da Dostoevskij a Tolstoj, da Gogol  a Puskin, a Bulgakov, solo per fare qualche nome. Personalmente non ho mai fatto distinzione se gli scrittori  siano nati in Russia oppure in Ucraina, questo fatto non mi interessa. Che dire poi di Boris Pasternak, la cui vita di letterato è strettamente legata all’Italia? in Italia, infatti,  è stato pubblicato per la prima volta il suo romanzo immortale “Il Dottor Zivago”, per il quale a Pasternak è stato assegnato il Nobel. Come non ricordare il ruolo dei Servizi Segreti Italiani che hanno recuperato in maniera alquanto avventurosa il manoscritto in lingua originale in modo da fare in maniera che l’autore fosse in regola con le norme previste da Stoccolma? Come non ricordare che Pasternak ha rinunziato ad uscire dalla Russia per andare in Svezia perchè altrimenti non sarebbe potuto rientrare in patria ? Il premio, infatti, è stato ritirato dal figlio dopo oltre 30 anni.

Sono cresciuta ‘ Non lo so. So per certo che la cultura russa fa parte del mio vissuto in maniera importante,e anche la storia più recente come quella relativa alla centrale di Chernobil, della quale scrivo in altra parte di questo blog, si intreccia con la mia vita.

Nel giorno del ricordo della caduta del Muro di Berlino, forse, come mi capita spesso, sono andata fuori tema. fa parte del mio essere. Lungi da me, comunque, addentrarmi in considerazioni sul conflitto attuale, già ne discuto abbastanza in famiglia, ma di certo personalmente avrei voluto che l’Italia avesse fatto una scelta di neutralità: non inviare armi ad alcuno, Ucraina compresa, non elevare sanzioni ad alcuno, Russia compresa; magari avesse fatto, invece, qualche tentativo in via diplomatica per risolvere pacificamente il conflitto..

Sono cresciuta? Non lo so. probabilmente oggi la mia mamma direbbe che forse era meglio il Muro.

Sperando con il Dostoevskji de Il Giocatore che  “ Domami, domani tutto finirà!”

Read Full Post »

Ho scritto queste riflessioni prima del voto del 20/21 settembre.Mi dispiace tantissimo che Minicuci non ce l’abbia fatta al primo turno, perchè in questa mia bella e strana città si nega l’evidenza e si montano bufale . Si nega l’evidenza perchè non si vuole vedere lo stato in cui è stata ridotta Reggio, brandelli irrecuperabili, che vengono oscurati da una campagna denigratoria montata ad arte nei confronti di Antonino Minicuci, il quale non ha tessere di partito, non è leghista, non è forestiero, ma reggino  di Melito , della Città Metropolitana. Che altro aggiungere : che il reggino purosangue come il sindaco uscente ha causato danni che peggio probabilmente non poteva alla città e ai suoi abitanti, che la formazione politica più votata al primo turno è stata Forza Italia, con più dell’11%, mentre la Lega non ha raggiunto manco il 5%, per coloro che ancora avessero qualche dubbio. E adesso spero vivamente che Minicuci sia il prossimo Sindaco di Reggio Calabria. Avanti tutta

 

 

Tra qualche giorno si voterà pure a Reggio Di Calabria e mi corre l’obbligo di dire la mia, anche se a malincuore. Perchè di fatto mi viene la tristezza  solo al pensiero di come sia stata ridotta una città bella e gentile e profumata di zagara e gelsomino. Perchè non posso uscire di casa per il puzzo che infesta le strade,; le strade ? che dico ?  un colabrodo che mette a rischio continuo pedoni e motori. Però qui e ora non mi va di elencare gli innumerevoli disastri che riducono Reggio a luogo invivibile , sarebbe noioso e il mio malumore aumenterebbe diventando rabbia. Vedere poi la pletora di candidati a questa consultazione elettorale, vengono i brividi. Nella mia idea di città ci si dovrebbe impegnare tutti per il bene della res pubblica, aldilà delle appartenenze di partito. Ho vissuto gli anni dei “boia chi molla” e li porto sempre nel cuore e ogni tanto li rivivo con grande partecipazione emotiva con il film  verità di Salvatore Romano ” Liberarsi. Figli di un Dio minore”, un documento che andrebbe studiato come testo obbligatorio in tutte le scuole d’Italia. E mi rammarico perchè allora non siamo stati capaci, noi, cittadini di Reggio Calabria, la città violentata da uno Stato criminale,  ad organizzarci in Movimento a tutela della nostra identità e dei nostri diritti indossando la sola casacca del territorio. In nome dei martiri della sacrosanta Rivolta avremmo dovuto gridare, urlare, anche auspicando la secessione da uno Stato canaglia, sciacallo, che tradisce il proprio popolo con tracotanza e barbarie inaudite. Non abbiamo fatto nulla. Erano gli anni settanta e, secondo me, abbiamo perduto un treno importante, facendoci irretire nelle ricostruzioni complottiste partigiane, fandonie di menti asservite a compromessi degli avventurieri  di una politica distorta e malata. Circa ventanni più tardi, negli anni novanta, nasce la Lega Nord, con un padre fondatore, certo Umberto Bossi che fa la voce grossa  rivendicando autonomie settentrionali e montando idee razziste nei confronti dei meridionali che peggio non si può. Nel 1989 , con la caduta del Muro di Berlino, molte ideologie si frantumano tra i calcinacci ; i due partiti politici storici  confessionali, Democrazia Cristiana e Partito Comunista, si sgretolano e a Bossi con i suoi amici, va riconosciuta la visione di mettere in primo piano l’interesse per i territori di appartenenza, superando le convinzioni personali di ideali e le logiche  di parte. Grida, il leghista, urla una realtà perfettamente capovolta perchè  da quando è stata fatta l’Unità d’Italia è il Nord a stare sulla groppa del Sud e non viceversa. E noi, popolo del Meridione, che facciamo ? Ci lasciamo schiavizzare. Eppure qualcuno aveva già detto qualcosa ante litteram, prima degli anni cinquanta.

“Lasciate che noi del meridione possiamo amministrarci da soli, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, trovare l’ iniziativa dei rimedi ai nostri mali; non siamo pupilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata del nord; e uniti nell’ affetto di fratelli e nell’ unità del regime, non nella uniformità dell’ amministrazione, seguiremo ognuno la nostra via economica , amministrativa e morale nell’ esplicazione della nostra vita”.

Luigi Sturzo, 1947

Don Sturzo, siciliano di Caltagirone è stato sacerdote e politico che si è speso senza mai  risparmiarsi per realizzare un Paese fondato sugli ideali di giustizia e libertà, nel rispetto delle diversità territoriali, che caratterizzano la nostra penisola e dovrebbero essere valorizzate come risorse intrinseche.   E prima ancora, già nel 1905, Aurelio Romeo, della famiglia dei patrioti che hanno dato lacrime e sangue per il cosiddetto Risorgimento, in occasione del Comizio pro Calabria, nella qualità di Sindaco di S. Stefano in Aspromonte, fa un’analisi spregiudicata sulla situazione della Calabria, relegata a ruota di scorta, fanalino di coda del nuovo Stato cosiddetto democratico.

Noi, meridionali in genere e reggini in particolare, ci lasciamo anestetizzare e, ridotti in stato comatoso, non riusciamo, e non vogliamo, cercare il bandolo della rete che ci avviluppa, come ha descritto bene Musil in “L’uomo senza qualità” .

E adesso mi tocca assistere e partecipare all’ulteriore scempio della mia città.

Andrò a votare perchè è l’unico modo per affermare la mia qualità di cittadino che paga regolarmente le tasse capestro, anche se sono consapevole che il mio voto sarà vanificato  da inciuci e mafionerie.

Certo però che non c’è da scegliere : il Sindaco uscente, Falcomatà, a parte l’incapacità dimostrata e lo stato in cui è ridotta la città, ha un procedimento giudiziario in corso, come l’Avv. Marcianò, anch’ella candidata a sindaco. Questi due personaggi proprio per l’amore che dicono di nutrire verso il loro territorio, non si sarebbero dovuti presentare, perchè, in caso di una loro eventuale elezione e di una loro eventuale condanna, la città si troverebbe ancora nei guai, cioè senza sindaco. Che dire di Fabio Foti? pare sia un professionista medico  serio e stimato, ma come fa a credere ancora in un movimento, come quello del cosiddetto comico, ciarlatano-mercenario, che ha manifestato la sua inconsistenza e dabbenaggine in questi anni.? Pura illusione. Ci vuole coraggio. Poi c’è Klaus, il massmediologo svizzero -di Milano che ha eletto Reggio e dintorni come sua seconda, o terza, casa. Fa rumore. Su alcuni candidati non mi esprimo, ma credo non possano raggiungere risultati significativi.

Rimane Minicuci  .. Come si arriva alla designazione di questo signore? a monte ci sono gli accordi tra le tre anime del centrodestra : Giorgia Meloni,  preso atto delle difficoltà dei suoi referenti nel territorio calabro, ha deciso di disinteressarsi di questi luoghi. Berlusconi da qualche tempo è politicamente  distratto e, dunque, le opzioni per la  Calabria spettano a Salvini, che, negli anni novanta, da giovane comunista impegnato, sposa la causa leghista, fino a prendere le redini del partito dei polentoni della Padania. A scanso di equivoci, ribadisco che non ho mai votato Lega  e credo che mai lo farò, dico pure che ho apprezzato quanto ha fatto Salvini da Ministro dell’Interno: cercare di arginare in qualche modo la criminale tratta di esseri umani  che avviene nel Mediterraneo è un problema che mi affligge da molto tempo, come scrivo da oltre un decennio in questo luogo , e Salvini ci ha messo anima e corpo. Poi, mai dire mai, bisogna sempre riconoscere che ognuno di noi possa tornare sui propri passi, rivedere le proprie convinzioni e cambiare parere. Io spero che Salvini si sia redento nei confronti dei meridionali. Fa la voce grossa Salvini e si arroga il diritto di veto alla candidatura di Occhiuto a Governatore della Calabria e poi,  anch’egli  è chiamato a designare il candidato a Sindaco di Reggio secondo gli accordi intercorsi nella Triplice Alleanza. Dal cilindro viene fuori certo Antonino Minicuci, a me completamente sconosciuto. Chi è costui ? Allora : cittadino di Melito Porto Salvo, comprensorio della Grande Città Metropolitana, studi regolari, collaboratore del ;presidente della Provincia di Reggio Calabria Raffa e poi, di recente, consulente del Sindaco di Genova. Non è un politico, nel senso che non appartiene ad alcun partito, è un professionista amministrativo, cioè un tecnico. Hai visto mai che, ob torto collo, possa essere la persona giusta per risollevare le sorti di questa città, vilipesa, martoriata, offesa nel suo dna da anni di malgoverno? Magari. Sono vecchia di anni e mi  guardo  attorno con il disincanto dell’esperienza accumulata, senza sentimenti di nostalgia, ma con un certo moto di ribellione , mai rassegnata e spero che la mia città possa presto volare sulle ali di sempre del bello, del giusto e del vero, aldilà di ogni ragionevole dubbio.   Non mi faccio illusioni . Spero, però, e dò  il mio voto al Reggino di Melito.

Read Full Post »

Stretto di Messina-foto di Peppe Caridi

Ho trovato tra le mie carte quest’articolo pubblicato da Il Quotidiano sabato 27 settembre 2003  nel quale  Michelangelo Cimino proponeva una riflessione

sul pensiero meridiano di Franco Cassano, sociologo, docente universitario.

L’idea dell’autonomia del pensiero meridionale, elaborata  con un percorso sofferto da un intellettuale impegnato come Cassano è particolarmente affascinante e coincide con le mie convinzioni come cittadina del Mediterraneo.

Pubblico l’articolo perchè ritengo le idee di Cassano particolarmente attuali e  dovrebbero essere oggetto di studio per i responsabili della nostra res publica.

Una volta di più occorre registrare l’impossibilità di un discorso compiuto sul presente, se non si parte dalla data-simbolo dell’ottantanove. La caduta del muro di Berlino, sostiene Franco Cassano, non ha “segnato la vittoria della libertà sul totalitarismo e del libero mercato sull’economia pianificata”. Questa è, semmai, una interpretazione a uso e consumo dei vincitori della guerra fredda. “L’Ottantanove rappresenta, invece, una mutilazione della tradizione occidentale, suddivisa in polo della libertà e dell’uguaglianza. Il crollo del comunismo segna la caduta del valore di uguaglianza a favore di quello della libertà, che tende all’esaltazione del libero mercato e al ridimensionamento del welfare”.

Pochi ‘eletti’ narcisi non bastano a sconfiggere il cinismo del Grande Inquisitore

Franco Cassano

Una impostazione di fondo che trova d’accordo Alain de Benoist : ” L’affermarsi del monoteismo del libero mercato, del dio unico che dispensa una unica verità”  è un portato della disintegrazione del sistema sovietico”.
Per entrambi i filosofi, dunque, l’oggi risulta legato a filo doppio all’Ottantanove, data che segna la fine della modernità e l’accesso nell’era del post-moderno.

Il punto centrale del discorso di Cassano consiste in una idea di Europa che riesca a porre un freno al fondamentalismo del mercato diffusosi in Occidente dopo la caduta del Muro. Un’Europa, insomma, votata alla mediazione, ” al recupero della dialettica tra libertà, protezione ed uguaglianza; che abbia memoria del fatto che il welfare è stata una invenzione in cui libertà ed uguaglianza hanno convissuto per decenni”.

Perchè l’Europa possa attendere a questo compito epocale, è necessario che ” smetta di gravitare intorno all’Ovest” e instauri un nuovo rapporto con il Sud.

Innanzitutto, abbandonando una volta per tutte l’idea che esso non è ancora l’Ovest. ” il Mediterraneo- dice Cassano- è luogo d’incontro fra un tempo non ancora colonizzato dall’economia e un’idea antica di convivenza e socialità. Chi vive sul confine è irriducibile all’integralismo perchè si incontra sempre con l’altro”.

Stretto di Messina-foto di Peppe Caridi

Il Mare Nostrum, però, è anche il centro di una idea del divino complessa e ambigua, che accanto a Javeh, il Dio di Abramo, pone il culto neo-pagano del dio Vulcano. E’ la tesi, invero affascinante, del filosofo Bruno Pinchard, secondo il quale se vogliamo avere una vera cultura mediterranea dobbiamo essere capaci di unire Javeh e Vulcano. Vale a dire un’idea del divino che proviene dalla cultura illuministica e un’altra che, invece, risale ai culti misterici precristiani.

Per Alain de Benoist una delle ricadute negative che il capitalismo globalizzato provoca sulla vita dei singoli e “la mercantilizzazione dei comportamenti”. Naturalmente non c’è campo che si salvi dagli sconvolgimenti provocati dalla globalizzazione : la politica, ormai ridotta ad espertocrazia, e non più a ricerca del bene comune; e soprattutto la società, divenuta un concentrato invisibile di rischi. E il rischio è diverso dal pericolo, che è minaccia concreta e visibile. Esso, il rischio, invece, è qualcosa di esteso, immanente, inafferrabile, non localizzabile. La trasmissione virale è l’immagine che meglio rende l’inafferrabilità del rischio. Ora, siccome essere contro la globalizzazione è come essere contro l’automobile, occorre reagire con giudizio.

Un primo passo potrebbe essere quello di procedere contro il globale, l’infinitamente grande, e tornare al locale, alle città, alle piccole comunità. In questo processo di  riacquisizione dello spazio locale, potrebbe entrare in gioco il ruolo di una Europa, che di fronte al tentativo degli USA di instaurare un mondo unipolare, richiami l’attenzione sulla ricchezza di un mondo multipolare, in cui gli individui possano essere valorizzati nelle loro specificità.

In questo contesto il Mediterraneo ha un ruolo centrale, porta già nel nome l’idea di mediazione e dovrebbe essere un luogo dove sperimentare una pace giusta : e non solo una pace come assenza di armi, ma una pace come incontro. Tutti i popoli del Mediterraneo si conoscono, hanno una storia in cui ogni costa è stata attraversata dagli altri, ha conosciuto sbarchi… Ecco: occorre riuscire a costruire in questi luoghi una grande stagione di pace, in modo tale che l’Europa divenga protagonista attiva di questo processo.

C’è da considerare il fatto che molte divisioni  non sono divisioni tra i popoli, ma derivano da interessi geopolitici, tante volte esterni all’area. Per cui, le linee di divisione nascono dal fatto che il baricentro non è più l’Europa.

Esistono, dunque, tante dimensioni comuni ai popoli mediterranei  e tanti elementi di differenza. Si potrebbe dire che il monoteismo unisce, ma è vero soltanto in parte, tenedo presente che nel mediterraneo sono concentrate le tre grandi religioni monoteistiche, la cristiana, l’islamica e l’ebraica.

Alla luce di queste riflessioni possiamo concludere che il Mediterraneo oggi può rappresentare un progetto attraverso il quale si vuole dare all’Europa la chance di giocare la carta di un’altra idea di Occidente, lontana dalla deriva fondamentalista dell’Occidente e, quindi, più capace di lottare contro il fondamentalismo religioso. E, ultimo passaggio, più capace di costruire una unità del Mediterraneo, in cui le diversità non siano abolite, ma si siano abituate a convivere e a scambiare la ricchezza di doni simbolici e culturali che ognuna di esse possiede.

Per Franco Cassano, dunque :

“… pensiero meridiano non vuol dire apologia del sud,
di un’antica terra assolata ed orientale,
non è la riscoperta di una tradizione
da ripristinare nella sua integrità.

Pensiero meridiano
è quel pensiero che si inizia a sentir dentro
laddove inizia il mare,
quando la riva interrompe gli integrismi della terra
(in primis quello dell’economia e dello sviluppo),
quando si scopre che il confine
non è un luogo dove il mondo finisce,
ma quello dove i diversi si toccano
e la partita del rapporto con l’altro
diventa difficile e vera.” 

Read Full Post »

Tema

Lo storico Eric J. Hobsbawm definisce “Secolo Breve” gli anni che vanno dall’esplosione della prima guerra mondiale fino al collasso dell’URSS. A suo giudizio, “la struttura del Secolo breve appare come quella di un trittico o di un ‘sandwich’ storico. A un’Età della catastrofe, che va dal 1914 sino ai postumi della seconda guerra mondiale, hanno fatto seguito una trentina d’anni di straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità. Guardando indietro, quegli anni possono essere considerati come una specie di Età dell’oro, e così furono visti non appena giunsero al termine all’inizio degli anni ’70. L’ultima parte del secolo è stata una nuova epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi  –  e addirittura, per larghe parti del mondo come l’Africa, l’ex URSS e le ex nazioni socialiste dell’Europa orientale, un’Età di catastrofe”Il candidato valuti criticamente la periodizzazione proposta da Hobsbawm e si soffermi sugli eventi che a suo parere caratterizzano gli anni ’70 del Novecento .

Svolgimento

Lo storico  Eric J. Hobsbawm è famoso nel mondo per il titolo del suo libro più conosciuto “ Il secolo breve” , come il critico definisce il Novecento e che ormai è assunto ad assioma inconfutabile   nell’immaginario collettivo.

HOBSBAWM ERIC J. - IL SECOLO BREVE

Per la verità Hobsbawm dà questa definizione al novecento in contrapposizione al secolo precedente, l’Ottocento, da lui chiamato  “il secolo lungo”. E’  indubbio, dunque, che i due conflitti mondiali segnano la prima metà del secolo e la crisi dell’Unione Sovietica con il fallimento del sistema comunista e la conseguente caduta del Muro di Berlino ne segnano gli ultimi decenni. Molti, tanti sono gli avvenimenti forti  che si succedono in maniera burrascosa coinvolgendo tutto il mondo e che ancora risentono dell’emotività del presente per poter essere letti e interpretati con analisi critica pura, scevra da sentimenti personali e di parte. I conflitti armati dei primi decenni del Novecento, aldilà dei perversi giochi delle  alleanze e dei vincoli internazionali hanno  procurato  danni  catastrofici per tutti, vincitori e vinti. Come anche non sono stati  indolori i cambiamenti dei sistemi di Stato e di Governo dei Paesi del blocco sovietico che hanno generato   traumi sia  per le popolazioni interessate che per gli equilibri internazionali,  relativamente ai quali non si devono trascurare i problemi dei popoli dell’Africa e dell’Oriente, tuttora in fermento. C’ è poi un’età di mezzo, che Hobsbawm considera in certo modo compressa tra i due periodi estremi ,  e che è contraddistinta da fenomeni di crescita economica , di progresso sociale e di sviluppi importanti in campo scientifico.  Come se  leccarsi le profonde ferite delle guerre abbia stimolato buona parte delle popolazioni coinvolte  a cercare la felicità in diversi settori importanti della vita umana. E sembra, in questi anni, si voglia attualizzare lo stimolo dell’Ulisse dantesco con l’esortazione “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” . Si cercano nuovi  orizzonti, dunque; con le avventure spaziali si esplorano nuovi mondi; e si effettuano scoperte astronomiche di grande rilievo; si studia l’attività del sole, che tanto incide sulla vita della terra. Si costruiscono vie di comunicazione rapida come le autostrade e veicoli, come gli aerei a tecnologia avanzata,  che consentono di accorciare le distanze in maniera sostanziale. Si fanno progressi nella lotta contro il cancro, e altre patologie gravi, nel campo della medicina genetica e autoimmunitaria. L’Italia partecipa da protagonista in queste avventure con un’industria che tira tanto da far parlare di boom economico  e perfeziona, proprio in questi anni, molte iniziative come l’ elaborazione  dello Statuto dei lavoratori che viene riconosciuto e adottato ufficialmente insieme alla legge sulle lavoratrici madri; si giunge alla legalizzazione del divorzio e dell’aborto, pur con i distinguo necessari. Insomma si attraversa, anche nel nostro Paese un periodo di benessere, che alcuni amano indicare come la nuova età dell’oro.

Trattando di questa ricca  età di mezzo come posso ignorare, io reggina di Reggio Calabria, i FATTI che hanno segnato la storia della mia città e che si sono succeduti proprio nel famoso 1970 ? Quando una piccola città di provincia ha osato ribellarsi contro i poteri forti, lo Stato di un Paese che si dice democratico per eccellenza non trova di meglio da fare che mandare i carri armati, sedare con la forza i dimostranti causando morti e feriti.  Lo Stato, che dovrebbe essere la massima espressione dei cittadini, viene così percepito, paradossalmente, come una controparte dalla quale bisogna difendersi, mentre il servizio pubblico di informazione mistifica la realtà. Piuttosto che ascoltare si preferisce soffocare implorando come alibi complotti inesistenti e mandando in carcere, con la prognosi  di  annosi processi, persone onestissime ree di aver protestato per chiedere rispetto e libertà. E soprattutto la ricerca della verità.

https://mimmasuraci.wordpress.com/wp-content/uploads/2011/07/fatti_di_reggio_tradimento255b1255d.jpg?w=195

Trattare dei fatti di Reggio Calabria non significa andare fuori tema, perchè io sono convinta che la storia di un Paese è fatta anche e soprattutto dalla storia dei territori cosiddetti o considerati marginali. E sono convinta che quei fatti costituiscano una pietra miliare nel cammino della nostra civiltà. Pur considerando il fatto che le popolazioni del sud d’Italia siano state cloroformizzate, e quindi ci sia bisogno di tempo per svegliarci da un’anestesia che sopisce anime e cervelli, io sono, nonostante tutto, convinta che gli avvenimenti del 1970 costituiscano i prodromi per una crescita, della Calabria e di tutto il Meridione , consapevole e autoctona. Il percorso, iniziato con il processo risorgimentale, criminale per il sud , del quale i fatti del 1970 sono stati soltanto una tragica tappa, è lungo ed è tuttora in itinere; ma la fiaccola è sempre accesa. Un film bello e duro considerato scomodo perchè ricerca la verità senza omertà e senza ipocrisie ,  e che per questi motivi  non trova naturale diffusione nelle sale come Liberarsi del regista Salvatore Romano dimostra che l’attenzione del mondo culturale verso i Nostri Fatti è vigile e attenta.Diversi poi sono gli scritti di giovani autori interessati alla nostra storia che hanno cercato di approfondire i molteplici aspetti di quella rivolta. E ancora i movimenti attuali in campo politico che rivendicano rispetto, dignità e onestà per il popolo allogeno, il vero Italiano, come è di fatto quello meridionale, in quanto appartenente ad etnia diversa da quelle di altre parti della penisola hanno una matrice storica importante anche nella rivolta di Reggio Calabria.

fonte-eterna-giovinezza

Non è un sogno pensare che saremo capaci di renderci autonomi con le nostre forze e con le nostre molteplici risorse e se è vero, come lo è, che i nostri sogni camminano sulle nostre gambe, ebbene noi faremo ancora tanta strada..e, per essere in linea con l’analisi di Eric J. Hobsbawm vivremo il periodo dei Fatti di Reggio, nonostante la loro maledetta tragicità, come una fonte inesauribile  di ricchezza alla quale  attingere, mai sazi,  per alimentare le nostre energie, che siano la forza di tutti noi, il popolo del Sud.

Read Full Post »

La pioggia di sangue

Se è all’inferno che sono destinato,
non preoccupatevi per me
che già ci sono stato!
Oggi ti vedo triste e preoccupata.
In silenzio ti osservo,
da quando sei entrata.
Gli occhi tristi, il mento sulle mani,
forse cerchi le parole per dirmi
che per me non c’è domani.
Per distrarti
Faccio anche il buffone.
Diventi rossa,
a stento trattieni il tuo magone.
Cosa ha oggi la mia nipote preferita?
Tu mi rispondi:
sono stanca della vita!
E’ giunta l’ora che non avrei voluto mai
di raccontarti una storia che non sai.
C’è un isola deserta
in mezzo al lare.
Io ne conosco il nome,
ma non ti dirò quale.
C’è un isola
Che ricorderò in eterno.
E’ l’isola del male.
E la chiamerò Inferno.
In fila indiana ci hanno accompagnati
con pugni e calci ci hanno massacrati.
Alzammo gli occhi per guardare i nemici.
Sbigottiti, scoprimmo che erano nostri amici.
Due file eran di uomini.
In mezzo dovevamo passare.
Gli ordini dicevano:
li dovete massacrare.
Molti di loro fingevano
troppi di loro godevano.
E non distingui più gli amici dai nemici.
Non si distingue più l’odio dall’amore.
Non bruciano il tuo corpo, ma il tuo onore.
Non è il tuo corpo a essere bruciato.
A vivere esso è condannato.
Non conosco le parole
per descrivere a te
la vita su quell’isola che non sai dov’è.
Ma se per caso un giorno
qualcuno parlerà,
un coraggioso più di me,
scoprirai dov’è e ci andrai.
Guarda il cielo e copriti.
Una pioggia di sangue
potrebbe bagnarti.
Una pioggia di sangue
sull’isola cadrà.
E se l’inferno voi volete visitare
è su quell’isola che dovete andare.
Passati sono orami tant’anni,
ma sono sicuro che
quando la bora soffia
porterà con sé,
più in alto che potrà,
una pioggia di sangue
che sull’isola cadrà.
E venne un giorno che a Fiume ritornai.
Cadavere vivente,
passavo tra la gente.
Questo per dire a te
che tu non puoi e non devi
stancarti della vita
a cui tanto tenevi.
Tutto quello che so
io non lo volli dire.
Andò in pezzi la mia anima
e tutto il mio ardire! –

Andrea Scano, maggio 1980 –

Andrea Scano scrive questa poesia per rispondere alla nipote Rina, che si è presa amorevolmente cura di lui per molti anni e che aveva detto di essere stanca della vita.

per chi volesse qualche altra notizia pubblico la recensione di ” Prigionieri del silenzio”, il libro di Pansa che narra dettagliatamente la vita di Andrea Scano

Giampaolo Pansa

Prigionieri del silenzio

recensione di Simone Rosti – 5 novembre 2004

Sono trascorsi quindici anni dalla caduta del Muro di Berlino e, nonostante il permanente muro culturale della sinistra, continuano ad affiorare verità sempre più atroci su ciò che il socialismo reale e le teorie marxiste hanno rappresentato. Assistiamo sempre più spesso ad un revisionismo leale e genuino, ossia a contributi storici prodotti in maniera assolutamente disinteressata, senza fini politici, con il solo scopo di riportare a galla eventi volutamente calati nell’oblio. E’ molto importante che questo lavoro, che rappresenta un bene enorme per il nostro paese (in quanto esprime un desiderio di verità, giustizia e libertà), sia sempre più fecondo e possa essere un orizzonte cultrale sul quale i ricercatori delle nuove generazioni possano cimentarsi senza ostracismi.

Ed è proprio ad un giovane studioso, Enrico Poggi, sardo come il protagonista del libro “Prigionieri del silenzio”, che si deve il primo documento analitico su Andrea Scano, il personaggio di cui si occupa Pansa. La tesi di laurea compilata dall’universitario è stata, tra l’altro, una fonte importante per lo stesso storico. E, proprio Giampaolo Pansa, è un grande sostenitore di questo nuovo modo di indagare la storia del Novecento. Insomma, parole sue, «non penso che il revisionismo sia una brutta strada», pertanto «penso ci sia molto da scrivere di nuovo sulla storia del secolo scorso. C’è campo libero d’indagine e bisogna che gli storici italiani – in genere bravi anche se qualche volta troppo faziosi – si diano da fare» (intervista rilasciata ad Avvenire, venerdì 8 ottobre 2004).

Ancora una volta, il giornalista de L’Espresso inizia un’indagine che lo porterà ad approfondire i crimini e le atrocità commesse da uomini diventati animali, grazie al male assoluto del comunismo. Una storia dentro la Storia. Una storia vera, di un comunista vero, costretto ad un silenzio moralmente assordante. E’ la vita di Andrea Scano, giovane scapestrato, nato a Santa Teresa di Gallura, in provincia di Sassari, nel 1911.

Come nel volume “Il Sangue dei vinti”, il giornalista piemontese utilizza un tecnica narrativa brillante. Attraverso due interlocutori immaginari (gli unici presenti nel tomo, il resto è tutta storia vera), un notaio di origini emiliane (il cui padre aveva conosciuto il giovane Scano) e un professore in pensione (sempre edotto da un genitore che aveva incontrato il sassarese), Giampaolo Pansa descrive la vita di Scano e le cornici (che spesso diventanto parte integrante del dipinto) storiche del Partito Comunista Italiano, dal 1930 alla metà degli anni settanta.

Il genio di Pansa si evidenzia in alcune osservazioni che sembrano trapelare stancamente dal testo. Frasi collocate apparentemente a casaccio, ma che mettono in luce un modo di scrivere la storia troppo raro in Italia. Dai riferimenti alla necessità di contestualizzare l’evento «la nostra bilancia di oggi non può essere usata per pesare i fatti di allora», senza mai giustificare niente e nessuno, all’ammissione di raccontare «di uno per parlare di tanti».

Andrea Scano fugge dalla sua terra natia, troppo stretta per un giovane ribelle, approdando in Francia e di lì si arruola nella Brigata Internazionale che, in Spagna, combatteva Francisco Franco. E’ qui che Scano si forma politicamente e, nonostante una licenza elementare in tasca, inizia a leggere i libri della rivoluzione, si trova in un idem sentire con i comandanti dei distaccamenti, beve dalle parole della criminale scienza marxista. Dopo la sconfitta spagnola passa diversi mesi nei campi d’internamento francesi da dove, su ordine dei compagni, torna in Italia per scontare la pena per esilio clandestino. Confinato a Ventotene negli ultimi anni del regime mussoliniano, Scano sembra immerso nella fede comunista e, dopo la fine del confino, approda a Genova, dove gli vengono affidate delle responsabilità operative nei Gap.

Alla fine della guerra, il giovane sardo si rifiuta di consegnare le armi. In questo contesto, la digressione di Pansa permette di riprendere la tesi già espressa ne “Il sangue dei vinti” e cioè che le armi non potevano essere deposte perché sarebbero servite per la seconda guerra civile, vale a dire per combattere i nemici del proletariato e instaurare il socialismo reale. E’ curioso riprendere una frase di un’intervista rilasciata dallo stesso autore a Mattia Feltri, per il quotidiano Libero dell’8 ottobre scorso, nella quale Pansa afferma che lui, giornalista e storico di sinistra, «non sono nato in una famiglia importante, non avevo santi in paradiso, eppure ho fatto la mia strada, in un paese libero. Questo grazie a quel sant’uomo di Alcide De Gasperi. La vera data della Liberazione non è il 25 aprile 1945, ma il 18 aprile 1948, quando De Gasperi vinse le elezioni».

Tornando al protagonista del libro, dopo essere stato denunciato per detenzione abusiva di armi, Scano riesce a fuggire a Trieste e da lì a raggiungere la Jugoslavia. Pansa è bravissimo a descrivere il sentimento dei comunisti italiani che aspiravano ad arrivare in Jugoslavia, soggiogata dal comunista Tito. Il sogno cioè, di chi, dominato e accecato da un’ideologia assassina desidera vedere i luoghi dove il socialismo reale è messo in pratica. Non solo essi rimarranno delusi, ma saranno – come nel caso di Scano – violentati fisicamente e moralmente fino ad essere annullati come esseri umani.

La digressione storica attorno alle vicende del comunista sardo sono altresì utili a comprendere in quale stato vivessero gli italiani (comunisti e non) sotto il giogo del regime jugoslavo e sotto il suo braccio armato, l’Ozna, la polizia politica titina, creata a immagine e somiglianza dell’Nkvd, la polizia segreta sovietica.

La rottura fra Tito e Stalin provocò un asprimissimo scontro fra i cosidetti cominternisti (i sostenitori dell’Unione Sovietica) e i titoisti. I comunisti italiani, sotto la spinta del Pci, crearono nelle città jugoslave cellule contro il regime del Maresciallo. Questa fu la loro condanna. Arrestati, interrogati e torturati, molti dissidenti (o supposti tali) con processi sommari (o addiritura per via amministrativa) furono rinchiusi nei gulag titini.

Tra questi, Pansa si sofferma nella rappresentazione di Goli Otok (o Isola Calva), uno fra i più tremendi, nel quale anche Scano passò tre infiniti anni della sua vita. Torture indescrivibili (fra le quali il cosiddetto boicottaggio), umiliazioni inenarrabili, azioni atroci volte unicamente ad annullare l’essere umano. Pansa le descrive tutte, con minuziosa semplicità, quasi incredulo nello scrivere ciò che, all’interno di quell’isola-lager, potesse accadere.

Scano, insieme a qualche altro connazionale, riesce ad uscire vivo (fisicamente) da quell’inferno, nel quale anche suicidarsi (una della massime aspirazioni di molti prigionieri) era impossibile. Come rileva Pansa, «a Goli Otok non era prevista l’eliminazione sistematica dei prigionieri, ma ciò che vi accadeva era più terribile della morte». Emblematica è la fine di un prigioniero che affilò un cucchiaino per tagliarsi la gola, ma era talmente debole che si fece solo un piccolo taglio e morì dissanguato.

Qui parte la storia ancor più drammatica delle atrocità che Scano (con i suoi compagni) dovette subire. Infatti, una volta giunto in Italia, fu ostracizzato dal Pci, il suo comportamento ritenuto rimprovevole, gli fu tolta la tessera del partito, in quanto ritenuto un traditore titoista. Infatti dal gulag di Goli Otok i prigionieri erano costretti a inviare cartoline ai familiari con scritte e slogan inneggianti al Maresciallo e, per tale motivo, ritenuti in patria traditori del partito.

Solo dopo qualche anno, Scano fu riammesso nel partito, con l’obbligo di non raccontare mai a nessuno cosa fosse successo in Jugoslavia. Ma questa è solo una breve sintesi del comportamento dei dirigenti del Pci italiano in quegli anni, da quelli locali fino a Secchia e Togliatti, tutti tesi a insabbiare verità connaturate al comunismo e, pertanto, troppo scomode da raccontare.

La beffa, per Scano e compagni, accadde nel 1955 quando Kruscev e Tito riallacciarono amichevolemente i rapporti. Pertanto, anche il Pci obbedì alla nuova linea e il silenzio imposto agli ex prigionieri dei gulag titini fu un imperativo inderogabile.

Insomma, la sorte di Scano (come di molti altri comunisti italiani) può essere sintetizzata in una frase detta a Pansa da una nipote del sardo, in riferimento alla fine della sua prigionia: «ad aiutarlo era stato un amico e non il Partito Comunista Italiano, il suo partito, per il quale era finito prima dentro il carcere e poi in un abisso di ferocia ed orrori».

Ancora una volta, Pansa porta alla ribalta del dibattico storico e culturale italiano una storia scomoda, sulla quale il Pci ha mantenuto e continua a mantenere il segreto, un universo di orrori e atrocità senza nessun mea culpa, senza alcuna ammissione.

Mi piace concludere con una frase testimoniata dalla mamma di uno dei compagni di sventura di Scano, un certo Bonelli: «sotto il fascismo ti hanno messo in galera, ma eri comunista e si può anche comprendere. Poi sei andato in un paese comunista, la Jugoslavia, e anche lì ti hanno messo in carcere. Adesso torni in Italia e i tuoi compagni, se potessero, ti manderebbero di nuovo in prigione. Si può sapere cosa si vuole da te? Non vi è al mondo gente più perfida dei comunisti».

! Simone Rosti

Read Full Post »