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Archive for novembre 2009

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Mi ero proposta di non scrivere nulla di questo genere ma la trans..tentazione è più forte dei miei saggi propositi. Di fatto anch’io, comune mortale, non posso sfuggire all’argomento del giorno e, dal momento che ne parlo, posso scriverne, senza pretese naturalmente. Fino a qualche tempo fa il termine trans mi faceva venire in mente la transiberiana, la linea ferroviaria più lunga del mondo, che transita da una parte all’altra della nostra terra; o anche  un cartone animato  e anche  l’ abbreviazione di transitivo, riferito ai verbi che possiedono la proprietà transitiva, appunto, cioè quei verbi che reggono il complemento oggetto, come insegna l’analisi logica. Presumo, dunque, che facendo riferimento alla sfera sessuale il termine stia ad indicare la capacità di alcuni individui di transitare  da una  parte all’altra, quindi all’altro sesso. Per quante conquiste  importanti  abbia raggiunto, la scienza però ancora non è riuscita in questo : anche quelle persone che si sottopongono ad interventi chirurgici mirati non possono ottenere le caratteristiche genitali morfologiche dell’altro sesso se non solo in apparenza, cioè esteticamente.

C’è da dire ancora che a quanto si sa con il termine trans si possono individuare solo coloro che non si sono operati; ragion per cui queste persone conservano di fatto completamente le proprie caratteristiche e con persone dello stesso sesso  possono avere, dunque, un rapporto omosessuale.

A questo punto si impongono alcune considerazioni : se queste persone sono uomini e hanno rapporti omosessuali che motivo c’è di mimetizzarsi da donna? per i clienti, poi, che differenza fa andare con uomo-donna, non ben definito, piuttosto che con  uomo-uomo? Perchè in Italia vengono tanti trans stranieri, soprattutto brasiliani a prostituirsi ? Pare che ci sia un grosso giro di droga e prostituzione e di denaro e che molti individui venuti alla ribalta in questo periodo avessero già dei precedenti giudiziari e fossero noti alle forze dell’ordine. E’ evidente, quindi, che si potevano conoscere questi traffici e perchè le persone coinvolte  si sono lasciate agire indisturbate ? Ma se le cose stanno come  ci raccontano i giornali non si tratta di una associazione a delinquere ? Si fa presto a dire che ognuno può fare della propria vita ciò che vuole, ma quando si tratta di gruppi che commettono illeciti, come spaccio, prostituzione, ricatti e compagnia cantando, allora si tratta di atti criminosi, infatti ci sono già alcuni cadaveri su questa strada impervia lastricati di affari oscuri.

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Eccezionale scoperta nelle acque di Palmi:

trovato un rarissimo corallo bianco

http://www.meteoweb.itPochi mesi fa nelle acque di Scilla era stata individuata la foresta di corallo nero più grande del mondo: il basso Tirreno è un tesoro di biodiversità – Sensazionale scoperta nelle acque appena a nord dello Stretto di Messina: è stata rinvenuta a Palmi, da tre subacquei calabresi, una colonia della rarissima variante bianca del Corallium Rubrum.

Fino ad oggi erano giunte solo frammentarie notizie circa la sua esistenza nel Mediterraneo, acque dove normalmente prolifera la più conosciuta varietà rossa di questo affascinante organismo marino, appartenente al phylum degli Cnidari, alla classe degli Antozoi, alla famiglia dei Corallidi (Ottocoralli) e all’ordine dei Gorgonacei.

Ora, di questo corallo “albino”, che potrebbe essere identificato come Corallo Bianco, una specie rarissima la cui presenza pare essere legata alla profondità (non inferiore ai 100 metri) e alla bassa temperatura delle acque, v’è finalmente traccia documentata anche nel Mediterraneo.

Sparuti esemplari di Corallium Rubrum dalla colorazione candida come neve, sono stati rinvenuti e fotografati nei pressi di Capo Barbi, proprio sotto quel maestoso sperone di roccia che è il Sant’Elia, il promontorio che cade vertiginosamente in mare nel tratto della Costa Viola che intercorre tra Palmi e Bagnara.

Protagonisti della scoperta, dopo un lungo periodo di ricerche subacquee e di successivi riscontri scientifici, i subacquei del “Centro Immersioni Costa Viola” Peppe Dato e Rocco Tedesco, coadiuvati nell’occasione dal noto fotografo subacqueo cosentino Francesco Sesso, che ha avuto il privilegio di documentare, probabilmente per primo, questo stupendo e raro organismo.
Gli scatti, effettuati alla profondità di circa 100 metri, documentano quella che si può a pieno titolo considerare una scoperta scientifica di assoluto valore.
Si tratta, inoltre, di scoperta che testimonia la buona salute in cui versano i fondali dei mari calabresi e la fantastica biodiversità delle acque dello Stretto.

Appena pochi mesi fa, a metà marzo 2009, nelle vicinissime acque di Scilla altri sub avevano scoperto una grandissima e rara foresta di corallo nero, composta da circa tentamila colonie presenti sui fondali rocciosi tra i 50 e i 110 metri di profondità.
Si trattava di una meraviglia mai vista prima in nessuna parte del mondo, scoperta grazie ad un robot che riesce a immergersi nel mare fino a 400 metri di profondità.

Solo una delle tante eccezionali meraviglie naturalistiche di questo territorio, in cui da oggi accogliamo con ammirazione anche il rarissimo e prezioso Corallium Rubrum.

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Pubblico con piacere un ricordo molto sentito, corredato da tre splendide foto datate, di un  cuore  reggino che vive a Roma

Vincenzo De Benedetto

Dal Nadir di Reggio.
La Rotonda
… dove lo scenario dello stretto appare ogni giorno un nuovo palcoscenico vivente, in esso, s’intrecciano luci
ed ombre- il sole che tramonta, l’Etna che fuma con la bianca parrucca le navi che “maneggiano” in una
azzura distesa di acqqua, chi va -chi viene…. nel mentre – appare la FATA MORGANA Reggio ad incanto
diventa una favola! MA! …
In questo teatro nel 1800-1900 viveva una fontana con acqua limpida e viva. Essa era di pietra dura. Sul
bianco grigio, scalpellinata artisticamente soddisfacendo le esigenze di quella realtà sociale. Era punto
d’incontro e d’amori, di giochi, di lavoro.
FONTANA ALLA ROTONDA
Non c’è più la monumentale fontana che fluente
Portava da lontano le pulite chiare e dissetanti
Acque arrivando dalle sorgente -“mulinello”
Dissetavi buoi e l’asinello stanchi assieme
Alla compagna capra.
La caduca lavandaia del bucato, compagni erano
la cenere e la cesta.
Poi…dopo, facevi un alto salto arrivavi in un impervio
e inaccessibile scosceso con spine ficodindia e riposavi
nella gebbia ove noi giocavamo con le serpi
Giù ancora, percorrevi solchi ed arrivavi ad inebriare le piante
Di finocchi e di lattughe.
Ti hanno, persino disputato in Tribunale o acqua sporca-
Un padrone lurido e un signore “bisognoso”
anche se sembrava ricco.
In questo contesto di vita che non c’è più
rimani nel ricordo come una bella Signora con
le tue forme che chiedevano carezze.
CI hai ospitato facendoci gioire l’ infanzia
Ci educavi, ci eri compagna, ci rinfrescavi
Dopo le battaglie tra caseggiati
Perdonaci, se degli uomini ti hanno abbattuta
Non avevano studiato Sette erano ignoranti
della tua storia e dell’arte di quel scalpellino
che ti rese cosi bella.ma non celebre……..
Di Te non si ricorderà nessuno, solo io canterò
ai.Figli di Reggio – qua c’era un monumento
Vincenzo De Benedetto

11.11.2009 Roma
Demolita nel 1961

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L’influenza A e il business delle uova

Il virus che serve per preparare il vaccino viene
coltivato sulle uova embrionate di pollo

(Ansa)
(Ansa)

MILANO – Dietro l’influenza A non c’è solo il business dei vaccini e dei farmaci, ma anche quello delle galline e delle uova. Sì, perché il virus che serve per fabbricare il vaccino cresce sulle uova di pollo. Non semplici uova da supermercato, ma uova «embrionate», cioè fecondate e già sulla strada per dare origine a un pulcino. Per ottenere una dose di vaccino ci vuole un uovo: 24 milioni di dosi per la prima tranche di vaccinazione degli italiani, 24 milioni di uova. I conti li ha fatti un gruppo di giornalisti che ha firmato con il nome «Progetto Wachdog» il libro «Nuova influenza, quello che non ci dicono», in uscita per Terre di Mezzo Editore. Proprio come «cani da guardia» gli autori hanno analizzato che cosa sta dietro il vaccino antinfluenzale, hanno fatto i conti in tasca alle industrie, hanno analizzato le prove dell’efficacia e i rischi della vaccinazione e degli antivirali, hanno monitorato le cronache di giornali e Tv che hanno parlato di pandemia in questi ultimi mesi, hanno registrato gli allarmi delle autorità sanitarie. E hanno scoperto l’affare delle uova.

NON UOVA QUALSIASI – A Rosia, vicino a Siena, dove si trova lo stabilimento della multinazionale svizzera Novartis che produce il vaccino, arrivano, da quest’estate, 150 mila uova al giorno. Un uovo da vaccino vale più del doppio di quello che finisce sulle nostre tavole: almeno venti centesimi. Proprio perché deve essere fecondato, non bastano le galline: ci vuole anche il gallo. Per questo il procedimento è più complesso. Un tempo le galline predilette dall’industria farmaceutica, si legge nel libro, erano le livornesi: piumaggio bianco e uova bianche, perché così è più facile vedere attraverso il guscio se si è formato l’embrione. Adesso però si usano anche quelle dal guscio rosso dal momento che le macchine più moderne riescono lo stesso a vedere all’interno. A fornire le uova alla Novartis è un allevamento di Faenza della famiglia Morini che fa quattro consegne alla settimana. Una volta arrivate a destinazione, le uova vengono inoculate con il virus fra il nono e l’undicesimo giorno di vita, poi vengono incubate per tre giorni e infine vengono aperte: si estrae il liquido e i virus vengono isolati, purificati e frammentati per ottenere quelle proteine che servono per fabbricare il vaccino. Ecco perché chi è allergico alle proteine dell’uovo va vaccinato in ambienti protetti che possano cioè far fronte a eventuali, anche se rare, reazioni avverse. Il Morini Group è nel business delle uova da vaccino dal 1996 e fin dal 2005 aveva messo a punto con le industrie e con il governo un piano pandemico. Ma anche per quanto riguarda il contratto per le uova, come per quello dei vaccini, l’entità rimane sconosciuta. Si può invece immaginare che quest’anno gli allevatori delle uova da vaccino prolungheranno la stagione di produzione. E c’è anche chi è certo che si troveranno meno uova e polli sul mercato e che i loro prezzi saliranno.

Adriana Bazzi
abazzi@corriere.it
15 novembre 2009(ultima modifica: 17 novembre 2009)

corriere.it

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Stefano Cucchi
Ma ci sono ancora tanti, troppi, “casi Cucchi” nelle nostre carceri

 

La morte di Stefano,
oltre il velo del silenzio

Soddisfazione. Per la famiglia di Stefano Cucchi, per la sua sete di verità. Semplicemente questo. Il caso del ragazzo morto a trentun anni, il 22 ottobre scorso, mentre era detenuto nella Città Giudiziaria di Roma, non è finito nell’oblio, non è stato fagocitato dal silenzio. Gli inquirenti hanno emesso oggi sei avvisi di garanzia, nei confronti di tre agenti di polizia penitenziaria, accusati di omicidio preterintenzionale, e di tre medici, accusati invece di omicidio colposo. Si tratta di «un eccesso di garanzia per consentire agli interessati di nominare un consulente in vista della riesumazione della salma», spiegano da Piazzale Clodio.La mattina del 16 ottobre, nei sotterranei del palazzo B del tribunale, in una cella di sicurezza, Stefano sarebbe stato scaraventato a terra e preso a calci, lasciato morire con le ossa fratturate, il volto tumefatto e la schiena rotta, tra omissioni e negligenze (niente alimentazione, niente idratazione). Le accuse saranno adesso messe alla prova durante incidenti probatori (il supertestimone è un detenuto africano). Continuano anche le indagini della Commissione parlamentare sulla sanità, i cui atti sono stati secretati di fronte a «versioni in patente contrasto le une dalle altre» da parte dei medici ascoltati, come ha spiegato il senatore Marino.Soddisfazione non per le accuse, non perché ci sono gli indagati, non perché tintinnano le manette. Soddisfazione perché sull’indifferenza di comodo ha vinto il coraggio della verità. Questo è un bene per Stefano Cucchi, per la sua famiglia, per questo paese. Ed è un bene anche per i tanti, troppi, “casi Cucchi” dimenticati nelle carceri d’Italia.
Barbara Mennitti
13 novembre 2009
Ff web magazine.it

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Pomeriggio di ieri, 12 novembre 2009, nei locali della Facoltà di Lettere e Filosofia e Scienze Politiche dell’ Annunziata di Messina si è laureato  con 110/110 e la lode accademica Peppe Caridi.

Nel cuore della cultura umanistica, in una Aula Magna dove si respira aria densa di sapori greco-latini attualizzati nella migliore didattica, partecipiamo ad un evento completamente originale, la discussione della tesi di Peppe Caridi, che si laurea nella specialistica biennale  in Scienze dell’informazione giornalistica con un lavoro dal titolo “La meteorologia tra storia, storiografia e informazione”. La presentazione particolarmente sentita e favorevolmente estimativa  da parte della relatrice, Prof. Michela D’Angelo e della correlatrice, Prof. Caminiti, introducono un argomento quanto mai interessante al quale il candidato si è dedicato con passione ricercando con metodologia rigorosamente scientifica in quelli che sono gli ambiti culturali che lo interessano prioritariamente : la meteorologia e la storia, appunto. Con il supporto informatico di diversi slide particolarmente significativi, Peppe Caridi  ci ha portato in giro nel tempo e nello spazio; da Aristotele a Teofrasto, a Bernacca, a Giuliacci, a Morico, a Guidi. Dagli Annales con Le Roy Ladurie a Braudel dal Mediterraneo all’ Atlantico con una attenta valutazione critica verso i cambiamenti climatici e la cura dell’ ambiente passando  da un’ampia osservazione di diversi proverbi popolari che la dicono lunga sugli argomenti trattati.

Una tesi bella, originale, fuori dalle righe, che, a mio avviso, andrebbe pubblicata per divulgare finalmente uno studio critico soprattutto nei confronti di quei luoghi comuni che oggi si affermano come verità indiscutibili  e che sono attacchi di vero e proprio terrorismo psicologico. Riprendendo in maniera approfondita teorie già avanzate da esperti del settore, Caridi sostiene con documentazione copiosa, e con esperienze  personali, che i cambiamenti climatici rientrano nell’ordine naturale delle cose cme ci narra la storia dell’umanità e del nostro pieneta e che nulla c’entrano con l’ambiente. Che l’essere umano debba  rivolgere attenzioni e cure particolari all’ ambiente in cui vive è, dunque, un dato di fatto incontrovertibile, come lo è altresì il fatto che il clima non può essere influenzato dalle attività umane.

La discussione è stata vivace e tutti i docenti della Commissione di laurea  hanno partecipato con vero interesse e  apprezzato.

Peppe Caridi già laureato in Sciene Politiche per il Giornalismo, nonostante  la giovane età, ha infatti appena 23 anni, ha già accumulato esperienze importanti; tra le altre cose  ha fatto uno stage presso la redazione reggina della Gazzetta del Sud, ha frequentato uno stage presso l’Ufficio Stampa dell’Ambasciata USA a Roma, è responsabile del sito http://www.meteoweb.it e dell’omonima associazione; scrive su diverse testate cartacee e on-line e mantiene un blog, La Pagina di Peppe Caridi, molto curato e molto frequentato.

Legato in maniera viscerale e cerebrale al suo territorio e in particolare alle città di Reggio, sua città natale,e Messina ha pubblicato, nel 2008, per i tipi della casa editrice La città del sole il libro “Area Metropolitana dello Stretto”, una opportunità nella quale crede fermamente e per la quale si adopera con tutte le sue forze. Ha partecipato come fotografo, altra sua grande passione è infatti la fotografia, alla mostra Lo Stretto Indispensabile, ideata e diretta da Diego Buda, che si è tenuta prima a Messina, nel settembre 2008, e successivamente a Reggio tra febbraio e marzo 2009 al Cilea e  i cui lavori sono raccolti in una pubblicazione che porta lo stesso titolo della mostra e che è stata curata dalla Fondazione Mediterranea di Enzo Vitale.

Il suo amore per il territorio l’ha spinto ad andare a Scaletta Zanclea in piena emergenza camminando per ore ed ore in mezzo al fango e  poi a  raccogliere questa forte esperienza in un reportage toccante e significativo.

Alcune  pecularietà del suo carettere come la bontà e la vivacità lo sollecitano a buttarsi a capofitto in quello che fa impregnando i suoi lavori  di questi valori e proprio per questo il suo entusiasmo emerge  dalle sue pagine in maniera coinvolgente.

Un grazie di cuore a Peppe, con l’augurio che questa ulteriore importante tappa gli sia da stimolo per altri successi e affermazioni  importanti.

Ad majora!

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Giosuè Carducci

La nebbia agli irti colli             Gira sui ceppi accesi

piovigginando sale                    lo spiedo scoppiettando,

e sotto il maestrale                  sta il cacciator fischiando

urla e biancheggia il mar.         sull’uscio a rimirar

Ma per le vie del borgo            tra le rossastre nubi

da il ribollir de’ tini                 stormi d’ uccelli neri

va l’aspro odor de’ vini            com’ esuli pensieri

l’animo a rallegrar.                   nel vespero migrar.

vespero

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9.11.1989 – 9.11.2009: riviviamo quella serata che, esattamente vent’anni fa, segnava una pagina indimenticabile della storia – «Ci sono molte persone al mondo che non comprendono, o non sanno, quale sia il grande problema tra il mondo libero e il mondo comunista. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l’onda del futuro. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che, in Europa e da altre parti, possiamo lavorare con i comunisti. Fateli venire a Berlino! E ci sono anche quei pochi che dicono che è vero che il comunismo è un sistema maligno, ma ci permette di fare progressi economici. Lasst sie nach Berlin kommen! Fateli venire a Berlino! […] Tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso di dire: Ich bin ein Berliner!(sono un Berlinese, Ndr)»: con queste parole il 15 giugno 1963 l’allora presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, voleva esprimere il senso di quel Muro che rappresentava fisicamente la Cortina di Ferro, quel confine che per i lunghi decenni della Guerra Fredda ha separato l’Europa occidentale, influenzata dalla civiltà anglosassone, a quella orientale, influenzata invece dal regime sovietico. In parole povere, quel confine che separava la libertà dall’oppressione, il benessere dalla fame, la democrazia dalla dittatura.

Nel 1989 quel Muro non aveva più senso di esistere: il regime Sovietico era imploso in se stesso, il Comunismo era morto già da qualche anno e la Guerra Fredda s’era ormai conclusa senza sfociare nel tanto temuto terzo conflitto mondiale: più che di un successo del blocco occidentale, possiamo parlare di un fallimento del regime sovietico che aveva stremato milioni di persone perdendo fiducia popolare e credibilità internazionale.

Il 9 novembre 1989, esattamente vent’anni fa, il Comunismo era già morto ma il Muro di Berlino era ancora in piedi. Alle 18:53, mentre le televisioni e le radio di tutto il mondo erano collegate in diretta con una Berlino vivace e baldanzosa, il corrispondente Ansa di Berlino Est, Riccardo Ehrman, chiese a Günter Schabowski, Ministro della Propaganda della Germania dell’Est, quando i berlinesi dell’Est avrebbero potuto attraversare il confine.
Schabowski, che si trovava in vacanza e non aveva potuto conoscere i dettagli dei provvedimenti decisi dal Governo, rispose così: «per accontentare i nostri alleati, è stata presa la decisione di aprire i posti di blocco. (…) Se sono stato informato correttamente quest’ordine diventa efficace immediatamente».

Più di cinquantamila berlinesi dell’Est, vedendo l’annuncio in televisione, si precipitarono a ridosso del Muro intasando i ceckpoint e scavalcandolo con foga, gioia e tripudio: gli stessi ceckpoint vennero aperti e i berlinesi dell’Ovest accolsero in modo festoso i loro fratelli orientali. I bar vicini al Muro iniziarono a offrire birra gratis per tutti.

Chi se lo dimenticherà mai quel pomeriggio?
Avevo poco meno di tre anni e mezzo, ma avevo capito subito che quella sera non avrei potuto guardare i soliti cartoni animati.
Mamma e Papà erano rientrati prima dal lavoro e si erano subito concentrati su una diretta televisiva che aveva tutta l’aria di essere sontuosa e importante.
Il mondo intero era col fiato sospeso dopo i tumulti di pochi mesi prima in Cina con la tragica protesta di piazza Tiananmen.
Ma quella sera in televisione avrei visto feste, gioie e sorrisi: solo qualche anno più tardi avrei capito che quello era stato un momento storico, quando lo avrei ritrovato nelle ultimissime pagine dei miei primi libri di storia, alla scuola elementare.

Quante cose sono cambiate in Vent’anni: la caduta del Muro di Berlino fu solo il primo grande evento della storia trasmesso in diretta e in mondovisione: abbiamo vissuto sensazioni simili e analoghe durante i bombardamenti della Prima Guerra del Golfo, appena un paio d’anni dopo.
Chi non ricorda tutte quelle “lucine verdi” della contraerea Irakena?
E poi ancora l’11 settembre 2001, l’attentato alle Torri Gemelle: quant’è cambiato il mondo!
Mentre a Berlino crollava il Muro, dall’altro lato dell’Oceano c’era già chi perfezionava la rete Arpanet che consentiva di mettere in rete, tramite computer, luoghi lontani e altrimenti irragiungibili. Nel 1989 erano connessi tra loro centomila computer. Oggi sono seicento milioni.

Vent’anni fa moriva il Comunismo e nasceva la Globalizzazione. Dall’Europa della Cortina di Ferro siamo arrivati a quella della Moneta Unica, con il denominatore comune del crescente potere dei mezzi di comunicazione, che grazie alle nuove tecnologie riescono a raccontare in diretta, a tutto il mondo contemporanemente, ciò che fino a pochi decenni fa veniva comunicato con lentezza e, spesso, con tante censure.

Perchè quel 9 novembre di vent’anni fa si realizzava una grande conquista per l’umanità: centinaia di persone riscoprivano il piacere della libertà dopo lunghi decenni di oppressioni, torture, soprusi e violenze.

Peppe Caridi

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Ho salutato con piacere, i primi mesi di quest’anno 2009, la notizia della pubblicazione del libro “La rivolta di Reggio” di Luigi Ambrosi edito da Rubbettino. Mi interessava il fatto che un giovane dottorando ricercatore avesse scelto di elaborare la sua tesi di specializzazione proprio sui famosi fatti di Reggio. Naturalmente ho letto questo lavoro al quale l’autore ha dedicato ben quattro anni di studio. Fare ricerca storica è, infatti, un impegno gravoso ed è sicuramente apprezzabile il metodo applicato per un percorso non certo agevole, quale quello necessario per una ricerca fedele il più possibile  alla realtà oggettiva. Il risultato, però, non mi incanta nè mi soddisfa, perchè, secondo me, il lavoro è influenzato da pregiudizi che sottendono come una colonna sonora alquanto stonata tutto il lavoro e ne offuscano la storicità  assumendo come certezze luoghi comuni diffusi in certa parte dell’immaginario collettivo soprattutto politico-partitico  che inficiano la bontà della ricerca e che un ricercatore, ancorchè giovane ed estraneo alle vicende trattate, avrebbe dovuto evitare con rigore scientifico.  Già il sottotitolo, “Storia di  territori, violenza e populismo…”; e alcune affermazioni di Salvatore Lupo nella Prefazione,” ..di fronte a questo protagonismo neofascista…. Quale straordinaria capacità demagogica e manipolatrice mostra qui la classe politica locale” ! dimostrano il tenore dell’opera. Nel contesto dello scritto l’autore fa riferimento a concetti di suggestione, di riscatto, di retorica, di pennacchio, di orgoglio  e quant’altro, senza trascurare il legame della rivolta di Reggio a mafia, criminalità e al Golpe Borghese. Io ho vissuto quei giorni e mi sono stancata di tornare sull’argomento anche perchè la ferita è sempre aperta. Luigi Ambrosi titola il primo capitolo Preistoria facendo riferimento a un episodio, la pubblicazione, Capo d’Anno 1947, da parte dell’ Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria di un testo  Per il Capoluogo della Regione Calabrese come antecedente dei “Fatti” . Luigi Ambrosi, però sarebbe dovuto andare più indietro per sapere , per esempio, che dopo aver contribuito con largo spargimento di lacrime e sangue alla causa del Risorgimento italiano, la Calabria, e in particolare Reggio è stata tradita e spogliata  e trattata come  colonia, se è vero, come lo è indubitabilmente che  il patriota stefanita Romeo , eletto al primo Parlamento nazionale, si è dimesso informando con manifesti i suoi elettori che il Governo non aveva mantenuto gli impegni  assunti precedentemente. Certo Reggio  è stata trascurata anche dai politici delle altre province  calabresi, ma se i Governi centrali fossero stati più attenti, libertà e democrazia sarebbero state rispettate in ogni dove. Un coacervo di soprusi e abusi ha logorato la popolazione reggina, che rimpiange il suo stato di polis e soffre con orgoglio, quell’orgoglio che non è vanagloria presupponente e boriosa quanto piuttosto consapevolezza delle proprie capacità, della propria cultura, del proprio DNA di valori importanti e profondi che sono propri dell’ uomo libero, coraggioso e audace, mediterraneo. L’ orgoglio, poi, una caratteristica spesso esaltata, l’orgoglio di essere e sentirsi italiani, l’orgoglio eroico di tanti valorosi, l’orgoglio di molti atleti che si affermano  in varie discipline, quell’orgoglio che relativamente al popolo reggino diventa un grave difetto, del quale ci si dovrebbe addirittura vergognare.  Ambrosi ama citare spesso Pansa. Prorio quel Pansa che nel suo ultimo libro ” Il Revisionista” dedica un capitolo a Julio Valerio Borghese, che intervista tra il 5 e il 7 dicembre 1970: ” Scrissi l’intervista la sera di lunedì 7  dicembre proprio in quelle ore, così in seguito si disse, gli armati raccolti dal Fronte si preparavano ad assaltare la Rai e qualche ministero : le prime mosse del misterioso colpo di Stato capeggiato da Borghese. Il mio articolo, intitolato Deliri del Principe Nero uscì sulla  Stampa il mercoledì 9 dicembre, ossia ventiquattro ore dopo il fallimento del presunto golpe. Un golpe che nessun giornale, nessuna radio e nessuna tv registrarono. La storia emerse l’anno successivo, il 17 marzo 1971. Rimasi sbalordito. E cominciai a farmi qualche domanda.Un militare o un politico che sta per attuare un colpo di Stato riceve un giornalista del campo avverso ? Proprio nel momento decisivo parla per tre ore davanti a un registratore acceso? Si lascia fotografare in pose tanto poco marziali? A qual tempob mi dissi : no, è assurdo che si comporti così. Sono rimasto della stessa idea  anche dopo. Lo sono ancora oggi. Per me quel golpe non c’è mai stato. E forse siamo in molti a pansarla allo stesso modo…..” .A conferma delle montature  di alcuni politicanti, sempre Pansa sempre nello stesso libro scrive :” I  comunisti italiani hanno sempre avuto una passione vera per le operazioni degli altri. Vedono misteri e congiure dovunque, giudate da registi occulti e dirette a scopi nefandi.” Come fa Ambrosi a dare per scontato il golpe Borghese ? Capisco che è difficile comprendere come una colonia piccola e trascurata possa osare ribellarsi contro le ingiustizie in maniera corale e spontanea. Purtroppo l’ evidenza spesso deve essere coperta da barriere posticce e ingombranti assolutamante surreali. Questo significa ignorare la verità.

Come si fa ad inserire i fatti di Gambarie in un tentativo organizzato per allargare la protesta alla provincia?  Per capire i fatti di Gambarie, assolutamente spontanei e trasversali, è opportuno leggere una bella Appendice nel libro Area metropolitana dello Stretto di Peppe Caridi per i tipi di Città del Sole Edizioni, dove il giovane autore intervista uno dei protagonisti proprio di quei fatti.

Come si fa, ancora, a trascurare completamente il ruolo svolto durante la Rivolta dall’ Arcivescovo, di origini piemontesi, mons. Giovanni Ferro capace di capire le motivazioni più profonde di una intera popolazione che si ritiene trattata ingiustamente?

Perchè di questo si tratta.E per capire lo stato della giustizia nel nostro territorio basta leggere Norman Douglas in Vecchia Calabria, del 1920,  nel capitolo Musolino e la legge, dove Musolino è il brigante  e la legge è definita come burla e farsa. Questa è la preistoria che sottende a una ribellione che c’è tuttora nell’animo del reggino, il quale lavora con impegno perchè evitando di essere stritolato dai carri armati di Stato possa raggiungere una dimensione di autonomia democratica e liberale nel rispetto di tutte le altre altre realtà locali e nazionali. Perchè non è  possibile in una società libera e democratica che una parte di territorio possa secedere senza spargimento di sangue? perchè?

Certo bisogna riconoscere che Ambrosi riferisce della solitudine di una città sola con se stessa; riferisce con Adele Cambria, che “tutti i Governi sono stati razzisti con la Calabria” , con il Corriere della Sera che ” il  Governo è stato colpevolmente assente” e che il pacchetto Colombo è stata una vera e propria presa in giro.

E il grido Boia chi molla richiama cittadini reggini, italiani, morti  per un capoluogo simbolo di giustizia e libertà.

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