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Archive for ottobre 2011

Marco Simoncelli

 

Marco Simoncelli

 

Ciao Sic

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Quel filoborbonico di Giuseppe Verdi PDF Stampa E-mail
Scritto da dechristen
L’inno delle polemiche
Quel filoborbonico
di Giuseppe Verdi
Sergio Bello
Quando fu
deputato, Verdi
si batté in
Parlamento per il diritto d’autore:
fu il suo modo di combattere i plagi che lo avevano
colpito durante
tutta la sua vita.
Fa scalpore un inedito di Giuseppe Verdi. Soprattutto perché si tratta di un “Inno nazionale” dedicato a Ferdinando II di Borbone, ritrovato negli archivi del Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella. Autore del testo, Michele Cucciniello. Spartito stampato dall’editore Girare, nel 1848, a Napoli. Ritrovamento ad opera del maestro Roberto De Simone. Frontespizio dello spartito definito «inedito». E immediate reazioni: Verdi non è stato forse il simbolo dell’Italia mazziniana e unita sotto i Savoia?
Eppure, nell’Inno il Borbone è salutato come “re della patria”. Per questo e per altri motivi, non tutti concordano con l’attribuzione dell’Inno (che ha la stessa musica dell’Ernani, e più precisamente del motivo “Si ridesti il Leon di Castiglia”) al compositore di Busseto. In ogni caso, c’è chi si dichiara possibilista: è il caso dello storico Giuseppe Galasso, per il quale la firma di Verdi sotto l’inno borbonico è plausibile, perché il clima dell’epoca era tale da far sì che i liberali guardassero con speranza ora all’uno ora all’altro dei sovrani italiani. Del resto, Ferdinando II proprio in quel 1848 fu il primo monarca della Penisola a concedere la Costituzione sotto la spinta dei moti siciliani. Ma fu una breve meteora, e l’esperienza si concluse ancora una volta con l’uso della forza.

Sulla stessa linea, anche se da una prospettiva del tutto diversa, è Roberto Selvaggi, curatore della manifestazione “Viaggio nella memoria” alla riscoperta dei Borbone: «L’inno di Verdi? Lo conoscevo già, ne avevo sentito parlare in Puglia. Ed è un’altra prova che i Borbone non erano poi così cattivi come li si dipinge. Forse Verdi avrà lavorato su committenza per Ferdinando II, un re che concesse la Costituzione con convinzione. Poi è successo quel che sappiamo, ma non fu colpa sua».
Ma qual è l’opinione degli storici della musica? E perché parlare di un “inedito”, quando si tratta di uno spartito canto e piano stampato? Opere simultaneamente “stampate” e “inedite” rappresenterebbero una novità assoluta nella storia dell’editoria, non soltanto musicale: lo sottolinea con una certa ironia Orazio Mula, docente al Conservatorio di Cuneo e autore di un libro su Giuseppe Verdi, edito dal Mulino, uno dei saggi più completi e aggiornati dedicati al cigno di Busseto: «L’Ernani», ha dichiarato lo studioso all’indomani della scoperta, «è nota come opera delle contraffazioni, che sorgevano spontaneamente. Che Verdi sia direttamente responsabile dell’inno borbonico mi sento di escluderlo». In altre parole, era consolidata la prassi piratesca di pubblicare melodie di successo in un’epoca nella quale il melodramma costituiva la musica di consumo popolare. Chiunque, senza conseguenze, poteva parodiare l’opera musicale altrui, sostituendovi un testo diverso.
Con motivazioni analoghe è sceso in campo anche l’Istituto nazionale di studi verdini, di Parma. Sulla presunta scoperta di De Simone il prestigioso ente taglia corto: si tratta di un plagio consumato all’insaputa dell’autore. Il motivo di un giudizio così tranciante? La mancanza di comunicazione, all’epoca, tra Regno delle Due Sicilie e resto d’Italia.
A questo punto è intervenuto lo stesso De Simone, il quale ha innanzitutto precisato di non aver mai parlato di “inedito”: «Si tratta di un brano stampato nel 1848, che in quel tempo evidentemente tutti conoscevano, ma oggi è stato dimenticato. Nel 1973, però, ci fu una segnalazione da parte della bibliotecaria Anna Mondolfi, che ne parlò al filologo Cecil Hopkinson, il quale pubblicò la notizia, a New York, in un suo lavoro bibliografico su Giuseppe Verdi. Dopo di che, non se ne è più parlato. Ma a Napoli, nell’epoca in cui venne scritto, di sicuro lo conoscevano tutti. Probabilmente era eseguito nei salotti buoni della città, tra patrioti e liberali».
Verdi, allora, sapeva che la sua musica era utilizzata per rendere omaggio a Ferdinando II? «Non ho prove, ma mi sembra probabile che il Maestro abbia conosciuto l’inno, anche per i suoi frequenti contatti con la città di Napoli e con il San Carlo». E come metterla con quanto affermato dall’Istituto verdiano di Parma, secondo il quale non c’era comunicazione tra il Nord e il Sud d’Italia? «Si sbagliano di grosso. In particolare, Verdi aveva stretto amicizia con Francesco Florimo, che era il bibliotecario di San Pietro a Majella. Se l’inno fosse stato un apocrifo, Verdi lo avrebbe disconosciuto nella sua fitta corrispondenza col bibliotecario. Invece lo spartito non fu mai oggetto di contestazione da parte di Verdi. Il Maestro era un patriota e anche lui avrà guardato con speranza al Regno meridionale, che era molto più europeo di quello dei Savoia. Il Sud, lo sappiamo bene, è stato vittima dell’Unità, non doveva diventare, come poi è stato, la coda d’Italia e finire in accattonaggio». Forse, ipotizza ancora De Simone, a qualcuno oggi dispiace pensare che Verdi abbia potuto salutare un monarca napoletano come futuro re d’Italia.
Una questione politica? Mula non è d’accordo. Alla replica di De Simone, lo studioso di origine meridionale controribatte: «Non c’era bisogno di scomodare Verdi per operare queste falsificazioni che avvenivano in tutta Italia: circolavano anche le versioni del Leon di Caprera e del Leon di San Marco su quella stessa musica. Quando fu deputato, Verdi si batté in Parlamento per il diritto d’autore: fu il suo modo di combattere i plagi che lo avevano colpito durante tutta la sua vita».
E le polemiche proseguono. Senza che sulla vicenda sia stata posta la parola fine.

 

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La pelle del pianeta

 

La nostra ricchezza brulica di vermi, vive di decomposizione, puzza di escrementi, ha colori cupi degli strati di marciume. Non è la metafora di un predicatore millenarista, bensì la letterale dichiarazione d’amore di un arboricoltore al terriccio, o meglio alla sua parte organica – humus, compost – senza la quale non potremmo sopravvivere. Quell’umile ammasso di materia pulsante, troppo giovane per interessare i geologi, emoziona William Bryant Logan. In tono brioso e competente egli ci invita a seguirlo nella sua avventurosa esplorazione di sedimenti, buche, praterie, coltivi e discariche. Lo scopo è familiarizzarci con qualcosa che abbiamo da sempre sotto i piedi e di cui ignoriamo il fragile equilibrio e le infinite virtù, avendo perso perfino il ricordo di pratiche ancestrali come l’assaggio della terra da parte dei contadini, noto dai tempi di Virgilio, o la misurazione di una dote in base al peso del letame prodotto dalla fattoria paterna, per non dire del culto egizio dello scarabeo stercorario. Impariamo a conoscere il grande ciclo vitale della terra presente in superficie e apprenderemo anche l’arte di guarirla.
l’autore
William Bryant Logan, arboricultore, è autore di The Gardener’s Book of Sources (1988) e The Tool Book. A Compendium of Over 500 Tools and How to Use Them (2001). Ha tenuto la rubrica mensile Cuttings sul «New York Times» e collabora con numerose riviste di giardinaggio. Vive e lavora a Brooklyn, New York. Con La pelle del pianeta si è aggiudicato il Quill & Trowel Award. Presso Bollati Boringhieri è uscito: La quercia. Storia sociale di un albero (2008).

Dal Catalogo Bollati-Boringhieri

il rifiuto. l’uomo e l’immondizia……

 

Sabato scorso la lettura di un quotidiano mi ha riservato una piacevole sorpresa. Nella pagina dedicata alla Cultura e allo Spettacolo c’era un titolo a dir poco accattivante e capace di attirare la mia attenzione ” Il rifiuto. L’uomo e l’immondizia un conflitto culturale”. Una lettura particolareggiata, ha evidenziato che il “pezzo” firmato da Giuseppe Montesano, non era altro che la recensione del libro “La pelle del pianeta” di William Bryant Logan. Il libro ci parla di humus, letame, compost, riciclaggio…Lo scopo sembra quello di familiarizzarci “con qualcosa che abbiamo da sempre sotto i piedi e di cui ignoriamo il fragile equilibrio e le infinite virtù”. La nostra ricchezza, afferma Logan, brulica di vermi, vive di decomposizione, puzza di escrementi, ha il colore cupo degli strati di marciume. E’ l’invito a recuperare il rapporto con tutto ciò che è naturale. L’autore, inoltre, viaggiando nel tempo ci mette a conoscenza di pratiche ancestrali che sono finite nel dimenticatoio, come l’assaggio della terra da parte dei contadini, noto dai tempi di Virgilio, o la misurazione di una dote in base al peso del letame prodotto della fattoria paterna, per non dire del culto egizio dello scarabeo stercorario. E non è sorprendente, scrive Montesano, “che John Adams, il secondo Presidente degli Stati Uniti d’America fosse fissato con il letame al punto da spingere il nipote a censurare i suoi diari?”…Dolce melodia per le mie orecchie, fragrante “puzzo” di casa mia. L’arboricoltore, William Bryant Logan, mi rassicura e mi conferma nelle scelte fatte. Da ortolano “per caso” e inesperto ho deciso di coltivare il mio orto con lo stallatico, vera meraviglia della natura, forza sublime, acceleratore di crescita, capace di rendere fertile qualunque terreno.  La cacca, finalmente, torna ad essere protagonista, ritorna a svolgere il ruolo che per millenni aveva ricoperto prima di essere un po’ dimenticata con l’avvento dei concimi di sintesi. Tanto tempo fa, a onor del vero, un poeta come Fabrizio de Andrè nella canzone Via del campo, aveva immortalato, con una frase lapidaria ma incisiva, questa grande verità: ” Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori”.

5 ottobre 2011

dal blog lucatosoni60

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Scherma
12/10/2011 – MONDIALI DI SCHERMA DI CATANIA

Paolo Pizzo d’oro nella spada

Lo schermitore catanese batte
l’olandese Bas Verwijlen 15-13
«Non mi dovete svegliare»

Dall’amarezza dell’eliminazione al primo turno del favorito, Matteo Tagliariol, alla felicità per la conquista dell’oro dell’outsider Paolo Pizzo. È stata una giornata in altalena, con conclusione da standing ovation, per la nazionale maschile di spada ai mondiali di scherma in corso di svolgimento a Catania.

La gioia è quella del catanese Paolo Pizzo, 28 anni, che a «casa sua» – che ama tanto da tatuarsi la scritta Aetna (Etna in latino) sulla spalla – vince il titolo battendo in finale 15-13 l’olandese Bas Verwijlen e conquista anche la Coppa del Mondo di categoria. Dopo la vittoria l’atleta siciliano bacia il parquet del Palaghiaccio e corre davanti la tribuna dove è acclamato dagli spettatori. Tra loro sicuramente tanti amici e parenti.  La sua famiglia ha una grande tradizione sportiva: sua nonna è la “professoressa”Liliana Pizzo, e sue zie sono le sorelle Donatella e Tiziana Pizzo. La prima allenava le due figlie nell’Alidea Catania che nel 1980 conquistò lo scudetto e la Coppa Italia femminile di volley.

«Svegliatemi, non ci posso credere, non è possibile, di più dalla vita non si può avere: vincere una medaglia d’oro a casa tua….», dice ancora incredulo subito dopo il successo. «Non ho mollato mai – continua a ripetere Pizzo – non ci credo, non è possibile. Vincere un mondiale nella tua città è un’emozione che auguro a ogni sportivo. Ho sognato questo successo ogni volta che per allenarmi rinunciavo a uscire con gli amici o ad andare al cinema».

Per l’atleta catanese il rischio maggiore corso nella finale è stata la sua voglia di combattere, la stessa che gli ha permesso di vincere un tumore che gli è stato diagnosticato quando aveva 13 anni: «Ho rischiato di perdere il titolo per la grande voglia che avevo di vincere… Tagliariol? Lui è più avanti, io sono sulla strada giusta e ho vendicato lui e le italiane eliminate». Adesso Pizzo guarda alle Olimpiadi: «La strada è quella giusta per Londra 2012».

L’emozione è tanta, e quando riceve la medaglia d’oro e il pubblico scandisce gridando «Paolo, Paolo» lui non riesce a trattenere le lacrime. Nell’atleta catanese ha creduto sempre Sandro Cuomo, direttore tecnico della Nazionale italiana: «Pizzo ha fatto un campionato del mondo straordinario dall’inizio alla fine, certo il pubblico lo ha aiutato tantissimo, si sarà portato la claque…». Per Cuomo, «il successo di Pizzo non è una sorpresa», tanto che lo aveva «pronosticato vincente in mattinata». Ma è rimasto colpito dall’«inattesa» eliminazione al primo turno del favorito al successo finale, Matteo Tagliariol, campione olimpico in carica nella spada. «Era pronto e non gli mancava alcunchè – osserva – certo non è stato fortunato nell’abbinamento con il sudcoreano Kyoung Doo Park, che è arrivato in zona medaglia».

Una tesi condivisa dallo stesso Tagliariol: «Il primo assalto – spiega deluso – per me è sempre molto difficile. Pensavo di poter vincere questo Mondiale, ci credevo tanto. Ho lavorato bene, ho fatto tutto quello che potevo fare e mi sono impegnato al massimo ma non è servito…». A Catania non è stata una giornata fortunata neppure per la sciabola femminile italiana: le quattro atlete in gara, Ilaria Bianco, Gioia Marzocca, Paola Guarneri e Irene Vecchi, non sono arrivate in zona medaglie. Irene Vecchi è quella che ha fatto più strada arrivando alle semifinali. Il titolo è stato vinto dalla russa Sofia Velikaia che ha battuto 15-14 l’americana Mariel Zugunis.

La Stanpa.it

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Napolitano sulla tragedia di Barletta: «Inaccettabile ripetersi di sciagure dove si vive e lavora»

14-30-32-36-37 : sono i numeri di una cinquina maledetta

Sono i numeri che indicano l’età di cinque donne eroiche.

Maria,Giovanna,Matilde, Antonella, Tina.

Sono quelle giovani donne che si chiudono in uno scantinato per regalarsi un sogno a 3 euro l’ora di un lavoro nero.

Sono figlie e madri piene di dignitosa fierezza rimaste sepolte sotto le macerie di un sogno frantumato.

Non amo le celebrazioni post mortem piene di retoricume e ipocrisia,

preferisco  cantare la vita.

Nè mi piacciono le inchieste a posteriori, che lasciano il tempo che trovano,  non sanano i danni, e non servono a nulla.

Piange Barletta con tutta l’Italia perchè queste  creature piene di orgoglio e umiltà non sono vittime del Meridione, ma dell’Italia intera, come purtroppo la cronaca, sia quella datata che quella più recente, riferisce di vittime del lavoro nero dappertutto.

In tutte le regioni della penisola purtroppo ci sono schiavi costretti dal bisogno e dal malcostume a lavorare in condizioni disumane, e spesso a restarne schiacciati.

Eppure non ci vuole la chiave di Salomone per risolvere queto atavico e sempre attuale  problema.

Basterebbe considerare   un assioma  necessario e sufficiente :

che ognuno faccia il proprio dovere

senza se e senza ma

sarebbe sufficiente, oltrechè necessario, fare il proprio mestiere con serietà e senso di responsabilità

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