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Archive for agosto 2009

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Scrivere a caldo dopo aver visto con pathos una brutta partita della squadra del cuore non è proprio  il massimo del piacere, ma ormai sono convinta : la Reggina è malata: si è così immedesimata nell’ aria di crisi  economico sociale che si respira nel mondo che si è ammalata di depressione, nonostante il nostro territorio in verità abbia risentito solo marginalmente della cosiddetta crisi, per il semplice fatto che la nostra è una economia di servizi piuttosto che industriale. In questo senso possiamo dirci privilegiati e dovremmo utilizzarne le opportunità in maniera proficua.La Reggina, dunque, è malata, perchè, di fatto, io continuo a vedere la stessa squadra della stagione passata; anche se molti giocatori sono cambiati, la musica è sempre la stessa: sembrano tutti stanchi, calcolatori piuttosto che calciatori, speranzosi che la propria presunta superiorità tecnica e lo stellone alla fine facciano il miracolo. Come è successo a Cesena, che un colpo di fortuna ci ha permesso di rubare 3 punti; come è accaduto oggi al Granillo che un analogo colpo di fortuna ci ha permesso di racimolarne uno. Però applaudiamo il manierismo di Brienza, che si sente autorizzato ad effettuare finezze di calcio stratosferico, mentre noi siamo umani. I nostri ragazzi, a mio avviso, dovrebbero fare un bagno di umiltà, e scendere in campo per giocare con l’anima e con la rabbia sana che serve per affrontare sfide importanti, con convinzione e con la consapevolezza che per realizzare i sogni bisogna crederci e che i nostri sogni camminano sulle nostre gambe: non è importante se non siamo grandi,  importante è stare sempre tutti insieme per potere scalare anche le montagne più alte. Bisogna crederci, ma la depressione è una brutta malattia  per la quale  urge la terapia di un medico molto bravo, che corra al capezzale della mia Reggina.

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Giuliani e il radon dello Stretto  a S. Francisco

Progetto del ricercatore Giampaolo Giuliani per l’Area dello Stretto

Precursori sismici nel triangolo Capo d’Orlando Catania-Aspromonte
Il tecnico che previde il terremoto dell’Aquila presenterà a S. Francisco gli studi sul Radon
Franco Perdichizzi
Capo d’Orlando
Una rete di monitoraggio sullo Stretto di Messina che possa prevedere i terremoti in tempo utile per dare l’allarme e così salvare più vite umane possibili.
E’ lo studio portato a termine da Giampaolo Giuliani, il tecnico del laboratorio nazionale di fisica del Gran Sasso balzato agli onori della cronaca per le ricerche autonome portate avanti sul gas Radon che gli hanno permesso di prevedere con largo anticipo il disastroso terremoto in Abruzzo.
Lo studio-progetto sarà presentato alla comunità scientifica internazionale durante la 13° conferenza Nazionale dell’Asita, che si terrà a Bari dal primo al 4 dicembre prossimo. Il Consiglio scientifico della Federazione italiana delle Associazioni scientifiche per le informazioni territoriali e ambientali ha già accettato il lavoro di Giuliani che rappresenterà quindi il “clou” di un simposio cui parteciperanno i più noti ricercatori e scienziati italiani e stranieri.
Il lavoro di Giuliani, che proprio in questi giorni ha ricevuto l’invito per uno dei convegni più importanti del mondo nel campo della sismologia e cioè quello del 14 dicembre a San Francisco negli Usa, ha per titolo “Rete di monitoraggio per la prevenzione e previsione sismica Stretto di Messina, Reggio Calabria, Etna” e naturalmente basa le proprie certezze scientifiche sulle emissioni del gas Radon che fuoriescono dalla crosta terrestre e la cui velocità viene misurata dalle apparecchiature costruite dal ricercatore aquilano.
Giuliani ha elaborato un sistema di monitoraggio dei livelli di Radon, un gas radioattivo che viene liberato dal sottosuolo quando le faglie vengono sollecitate per poi divenire terremoti in superficie.
E’ una sorta di campanello di allarme che potrebbe avvertire dell’imminente sisma anche a distanza di 100-150 km ed anche con un anticipo di venti ore, a seconda dell’intensità del sisma. Dunque un lasso di tempo utile che può rivelarsi, vitale.
«La notte del terremoto che ha ferito a morte la mia città, L’Aquila – ci di dice – non sapevo più a chi rivolgermi, vedevo sui monitor di casa mia che la situazione stava precipitando e io non potevo fare nulla perché avevo ricevuto un avviso di garanzia per aver detto che ci sarebbe stato un terremoto ed ero intimorito. Avrei voluto uscire fuori e gridare ai quattro venti magari con un megafono di uscire da casa e salvarsi. Ho però telefonato ai miei amici, parenti, e sono riuscito a farli scappare. Ma il mio cruccio è stato di non aver potuto salvare quelle trecento vite di amici, conoscenti, aquilani» .
Il ricercatore poi, riferendosi ai suoi detrattori, dice: “Mi hanno appellato in mille modi diversi e tutti lesivi della mia dignità perché i terremoti non si possono prevedere. Non è assolutamente vero, perché ogni fenomeno, terremoto compreso ha una causa”. I precursori sismici (le apparecchiature di Giuliani che segnalano il Radon) del progetto che il ricercatore ha approntato per lo Stretto di Messina e per le aree vicine che sono comprese in un triangolo che ha come angoli Capo d’Orlando, Catania e l’Aspromonte, sono sette, ubicati a Capo d’Orlando , Catania, Taormina, Milazzo, Messina , Reggio Calabria e Scilla . Il Precursore sismico segnala l’anomalia della media di Radon 222 che fuoriesce dalla superficie terrestre. L’anomalia è prodotta dall’azione di carichi e scarichi di energia in un intervallo di tempo nella zona ipocentrale dell’evento. Il rilevatore, posto in superficie, evidenzia l’anomalia e invia un preallarme o un allarme sismico.
Giuliani che da dieci anni lavora al progetto insieme alla moglie ed ai figli aggiunge: «Quella notte (6 aprile 2009) il mio sismografo denunciava una forte scossa di terremoto e tutti potevano osservarlo on-line sul nostro sito e tanti l’hanno osservato e si sono salvati».
gazzeta del sud

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I fondali calabresi restituiscono un altro reperto del passato. Intorno alle 13.30, oggi, nelle acque di Palizzi, due persone, padre e figlio di Reggio Calabria, nel corso di un’immersione subacquea hanno rinvenuto e recuperato un’ancora navale di circa duecento anni fa. I due cittadini reggini hanno immediatamente avvertito i carabinieri, affinchè l’oggetto rimanesse custodito fino a quando, presumibilmente domani, alcuni membri della Soprintendenza dei Beni Culturali non si recheranno sul posto per effettuare un esame preliminare sull’ancora navale.

srtill.it

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Frutto dell’ingegneria genetica, il batterio viene ingerito

Microbo-dottore “cura” la colite ma solo su comando del paziente
ROMAUn abituale inquilino del nostro intestino è stato trasformato in un veicolo di terapia contro una delle sindromi del colon irritabile, la colite, che colpisce milioni di persone nel mondo. Frutto dell’ingegneria genetica, il primo «medico-microbo» è un batterio che viene ingerito e rilascia nell’intestino una sostanza terapeutica, ma solo al bisogno e su comando del paziente che lo ingerirà. Si tratta di una forma geneticamente modificata del batterio Bacteroides ovatus, un microbo che fa parte della flora intestinale, spiega Simon Carding, dell’Università britannica East Anglia Medical School.
Secondo quanto riferito sulla rivista Gut, ingerito da animali affetti da colite, al contatto con uno zucchero, lo xilano, il batterio rilascia, direttamente nelle cellule danneggiate che rivestono le pareti intestinali, una proteina farmacologicamente attiva, il fattore di crescita umano KGF-2. Ciò porta alla riduzione del sanguinamento e dell’infiammazione delle pareti intestinali, accelerando la guarigione della parete.
La terapia può addirittura prevenire l’esordio dei sintomi della malattia.
La colite è un’infiammazione generalizzata dell’intestino ed è la forma più diffusa della sindrome da colon irritabile, un gruppo di malattie intestinali con un’incidenza complessiva nei Paesi occidentali che varia dal 10 al 20% della popolazione, che dipende da alterazioni della motilità intestinale con sintomi che variano dalla stipsi alla colite.
Gli esperti britannici hanno creato questo ingegnoso metodo di veicolare a destinazione la terapia, con un microrganismo vivente modificato geneticamente in modo da divenire capace di produrre la proteina umana KGF-2. Il batterio ingegnerizzato rilascia il fattore di crescita umano solo quando viene in contatto con uno zucchero, lo xilano.
«All’inizio intravedo la possibilità di usare questo batterio come terapia aggiuntiva insieme a quelle tradizionali – ha concluso Carding – ma alla fine potrà essere usato come terapia unica; una volta nel colon, il batterio potrà essere attivato al bisogno, prevenendo la malattia o le ricadute».

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  • i dati devono però trovare ulteriori conferme

Questa l’ipotesi di ricercatori spagnoli. Che mettono sotto accusa anche il sonnellino pomeridiano

(Contrasto)

ROMA – Secondo uno studio pubblicato sull’European Journal of Neurology da ricercatori spagnoli dormire troppo potrebbe essere un segnale precoce della predisposizione ad alcune malattie neurologiche, fra cui il morbo di Alzheimer.

LO STUDIO – Esperti dell’ospedale universitario di Madrid sono arrivati a questa conclusione dopo aver studiato 3.286 persone dai 65 anni in su, indagando sulle loro le abitudini di vita, soprattutto relative alle ore di sonno in un’intera giornata. I volontari sono stati poi seguiti per tre anni e 140 hanno sviluppato demenza senile. Dalle analisi effettuate è emerso che chi è abituato a superare le canoniche otto ore di riposo a notte correrebbe (il condizionale è d’obbligo) un rischio doppio di ammalarsi di Alzheimer, così come chi non resiste a coricarsi un’oretta dopo pranzo. Secondo gli studiosi, il dormire troppo potrebbe essere sia un segno di malattie neurodegenerative sia un fattore di rischio: «Abbiamo rilevato una forte associazione fra questi due elementi – evidenzia Susanne Sorensen, a capo dell’indagine – anche se la spiegazione non è ancora chiara. Eppure, un sonno eccessivo e l’abitudine di dormire nel pomeriggio sembrano amplificare di molto il pericolo di insorgenza dell’Alzheimer nei successivi tre anni di vita. Ma – precisa – potrebbe anche darsi che la necessità di riposo sia un segnale “incompreso”di malattia, che poi si sviluppa successivamente».

CONSEGUENZE – Chi dorme molto deve dunque cominciare a preoccuparsi? E ancor di più se ama la pennichella pomeridiana? Ovviamente no. Basti pensare a quanti studi dicono che il sonnellino fa bene, o a quanti dicono che domire è un toccasana e non dormire una vera maledizione per la salute. Va precisato che questo genere di studi sono sicuramente interessanti a livello scientifico perchè aggiungono tasselli ai grandi puzzle che formano la conoscenza complessiva su un argomento , ma difficilmente portano subito a conseguenze dirette, come del resto ha precisato anche la dottoressa Sorensen, che ha affermato: «C’è comunque bisogno di ulteriori approfondimenti, proprio perchè solo un terzo dei malati riceve una diagnosi precoce e precisa». Insomma un’ipotesi suggestiva e interessante. ma per ora ancora un’ipotesi


17 agosto 2009

corriere.it

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    È il deficit di una proteina fondamentale per lo sviluppo delle cellule nervose a partire dalle staminali

    Antonio Iavarone e Anna Lasorella

    NEW YORK – Una scoperta che potrebbe portare a nuove terapie contro tumori al cervello e malattie neurologiche è stata annunciata da due ricercatori italiani della Columbia University Medical Center di New York. Antonio Iavarone e Anna Lasorella hanno identificato una nuova funzione per la proteina Huwe1, una molecola che si è rivelata indispensabile per la corretta programmazione delle cellule staminali del cervello a formare neuroni durante lo sviluppo dell’ embrione di topo. La nuova scoperta ha anche rivelato che la stessa proteina viene eliminata durante lo sviluppo dei tumori del cervello più maligni che colpiscono bambini e adulti (glioblastoma multiforme).

    LA SCOPERTA – Durante la formazione del cervello nell’embrione, le cellule staminali del sistema nervoso si dividono a una velocità molto alta prima di dare origine alle cellule nervose mature, i neuroni. Perché questo processo avvenga in maniera corretta, le proteine che mantengono le cellule nello stato staminale ed immaturo devono essere eliminate.
    Iavarone e Lasorella studiando le cellule staminali normali hanno osservato che la proteina Huwe1 è fondamentale in questo processo di distruzione di proteine non più necessarie, programmando così la normale formazione di neuroni maturi dalle cellule staminali neurali. La dottoresssa Lasorella ha dimostrato che nel topo, in assenza di Huwe1, le cellule staminali si moltiplicano invece in modo incontrollato per cui la formazione dei neuroni è compromessa e lo sviluppo del cervello procede in modo anomalo. Poiché sia le cellule staminali che le cellule tumorali condividono la capacità di crescere molto rapidamente, il dottor Iavarone ha ipotizzato che l’ attività di Huwe1 possa essere carente nelle cellule dei tumori del cervello nell’ uomo. Per verificare questa ipotesi Iavarone ha analizzato e confrontato i livelli di Huwe1 nel cervello normale e nei tumori cerebrali e ha trovato che l’attività di Huwe1 è molto più bassa nei tumori. La sofisticata analisi dei dati che ha indicato che la attività di Huwe1 è carente nei tumori è stata possibile grazie ad un algoritmo computazionale generato da un altro ricercatore italiano, Andrea Califano, responsabile del Centro di Bioinformatica applicata allo studio dei tumori alla Columbia University di New York.

    PROSPETTIVE – «La perdita di Huwe1 potrebbe essere una importante tappa nello sviluppo dei tumori cerebrali più maligni, i glioblastomi multiformi, e una modalità mirata di terapia per questo tipo di tumori potrebbe derivare se riuscissimo ad aumentare la funzione di Huwe1 nelle cellule tumorali» ha spiegato Lasorella. «Il nostro studio è una conferma di quanto sia necessario capire a fondo la funzione normale di un gene per poterne decifrare il suo ruolo nei tumori umani» rinforza Iavarone. «La manipolazione di Huwe1 nelle cellule staminali del cervello potrebbe consentire una corretta ri-programmazione di queste cellule e permettere la rigenerazione delle cellule neurali che vengono perse nel corso di malattie neurodegenerative. Inoltre, ci aspettiamo che riportando al normale l’attività di Huwe1 nelle cellule dei tumori cerebrali di pazienti in cui Huwe1 è assente potremo fermare la crescita del tumore». La ricerca è pubblicata alla rivista Developmental Cell, che le ha dedicato la sua copertina

    I TUMORI DEL CERVELLO – I tumori del cervello sono tra i più devastanti tumori sia nell’adulto che nel bambino. Secondo l’associazione americana per i tumori cerebrali, i tumori del cervello sono la principale causa di morte causata dal cancro nei pazienti al di sotto di 35 anni. L’incidenza di tumore al cervello è di circa 3 per 100 mila per anno e circa i ¾ dei pazienti affetti da questa forma di tumore muoiono per la mancanza di cure efficaci. Nei bambini i tumori del cervello sono la forma più comune di cancro dopo la leucemia e sono la causa più frequente di morte da tumore solido.


    17 agosto 2009

    corriere.it

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    https://i0.wp.com/www.esnreggiocalabria.it/cm2008/files/uploaded/bronzi_di_riace-thumb.jpg

    16 agosto 1972 : a Portu Farticchiu  nel Mare Jonio di  Riace in provincia di Reggio Calabria   Stefano Mariottini trova due statue imponenti, i Bronzi.

    bronzi jpg

    Sull’argomento Bronzi di Riace si può leggere anche :

    -I Bronzi di Riace Polinice ed Eteocle?

    -I Bronzi di Riace tra stupore e mistero

    – A prescindere di Pitos. Un elemento imprescindibile di una storia davvero magica

    – Sospetti scolpiti nei…. Bronzi

    – Rita Spanò  su La questione dei Bronzi di Riace

    – I Bronzi devono restare a casa loro

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    «Ho trovato me stessa.
    E un nuovo amico»

    Flavia Pennetta e il suo momento d’oro: «Ora le top 10 e un sushi con Valentino Rossi»

    Flavia Pennetta
    Flavia Pennetta

    Con la vittoria al torneo di Los Angeles, la brindisina è salita al numero 12 della classifica e punta all’ingresso tra le migliori

    MILANO — Sulle strade del­la California, viaggiando con il finestrino abbassato e il vento nei capelli, ha trovato quello che cercava da tempo. Flavia Pennetta da Brindisi, il made in Puglia più noto all’estero dopo le friselle, sorride dall’altra parte del telefono e del piane­ta: «Cosa cercavo per fare finalmente il salto di qualità? Fa­cile: me stessa…». Due top 10 (Pe­trova e Zvonareva), un’ex n. 1 (Sharapo­va) e un’australiana bollente (Stosur, n. 19) trafitte da un tennis mai così con­creto («Più andavo avanti, meglio gio­cavo: in finale mi riusciva tutto!»), ot­tavo torneo in car­riera ma Los Ange­les è indubbiamen­te il più importan­te, è la linea d’om­bra tagliata a 27 an­ni da numero 12 del mondo («Le mi­gliori dieci del ranking sono lì, se gioco bene un altro torneo pri­ma degli Us Open posso toccar­le. E, credimi, ci tengo un casi­no »), con quella frase che l’amatissimo papà Oronzo pro­nunciò dieci anni fa e che anco­ra le ronza, molesta, nelle orec­chie: «Chissà se la mia bambi­na arriverà nelle prime 200…»

    Flavia è una tennista d’espor­tazione da quando aveva 14 an­ni, ha capito subito che il mon­do sarebbe stato il suo play­ground, ha preso casa a Barcel­lona e in Puglia torna giusto per trarre linfa fresca dalle radici. Al­la vigilia della trasferta negli Usa è andata al mare a Rosama­rina con nonna e le sue amiche, «lei nerissima, io bianca latte, mi ha spalmata di crema e sia­mo state due giorni a chiacchie­rare, dentro e fuori dall’acqua», perché prima di partire alla con­quista di Los Angeles parlando uno slang d’alta classifica senti­va il bisogno di masticare un po’ di lessico familiare. Con il coach spagnolo Gabriel Urpi co­munica in catalano misto a ita­liano («Ma quando m’incavolo sbotto in dialetto pugliese…»), con l’angelo custode Federico Luzzi (era per l’amico portato via a 28 anni da una leucemia fulminante quel dito al cielo do­po il match point) una lingua del cuore muta e invisibile; alle più forti giocatrici del mondo ormai dà del tu senza arrogan­za, forte della consapevolezza dei suoi mezzi, e ci sarà un per­ché se, quando s’incrociano in spogliatoio, Venus Williams sa­luta per prima. «Hi Flavia». La vita può cambiare in un istante. Un dritto sulla riga. Un servizio buono di un soffio. «Sto giocando bene da un po’ ma il vero clic è interiore, mora­le, di testa». Sta bene, e si vede. Fuori, ma soprattutto dentro. «Ho capito dove vuoi andare a parare e no, non sono fidanza­ta. Nessuna storia vera. Ho deci­so che posso farcela anche da sola. E un giorno, a Carlos Mo­ya che mi mollò per un’altra, mi toccherà dire grazie perché mi ha fatto scoprire cose di me che non conoscevo».


    Ci sono nuovi pensieri, al di là della co­scienza collettiva di far parte di un gruppo di donne straordina­rie per lo sport italiano: «Ho se­guito da lontano le imprese del­la Pellegrini e della Filippi al Mondiale di nuoto: non c’è niente da fare, noi siamo più de­terminate, se ci mettiamo in te­sta qualcosa non ci sfugge, non abbiamo paura di sbagliare e di dirci la verità, anche se fa male. Un uomo per lasciare una don­na può impiegare anni, campa cavallo… Ecco perché non è faci­le trovare relazioni di qualità, che comportino un’assunzione di responsabilità e decisioni importanti». Ci sono nuo­vi traguardi («Le top 10, fare meglio dei quarti a New York, il Master di fine anno») e nuovi amici. Uno di essi corre in moto con una certa bravura, Flavia impazzisce per i motori e l’in­contro con Valentino Rossi ha prodotto un’amicizia ad alto ri­schio di flirt, se mai i due fuori­classe riuscissero a mangiarsi una pizza insieme. Soli. «Ci sia­mo conosciuti a Wimbledon nel 2007, quando lui venne invi­tato da Federer. Io sono andata a fare il tifo a Valencia e all’Esto­ril, siamo usciti con i suoi ami­ci, quando passano da Barcello­na li porto a mangiare nel mio sushi bar preferito». Allarme rosso. «Ma non ci vediamo mai, te lo giuro». Però, d’incan­to, gli sms di corteggiamento di certi calciatori («Io nemme­no li conosco, ti rendi conto?») si sono interrotti. «Riuscire a in­contrarsi in calendari così fitti è impossibile. Però Vale è sim­patico… ». Attenzione. «Non è mai venuto a un torneo ed è me­glio che continui a non far­lo… ». Farsi desiderare, ecco. Molto donna. Molto Flavia.

    Gaia Piccardi
    11 agosto 2009

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    https://i0.wp.com/www.leggievai.it/wp-content/photos/falo_focarina_primavera.jpg

    Cantero’ – se vuoi – ma non credermi
    Stelle nelle tasche piu’ non ho
    E tu – non sai – volare piu’ – piu’ – piu’ in alto
    Nel viso della sera che nasce
    Sulla spiaggia coi falo’

    Cantero’ – per noi – che non siamo piu’
    piu’ forti – di quel po’ – di gioventu’
    Che sta – bruciando dentro e poi – finira’
    Nel viso della sera che nasce
    Sulla spiaggia coi falo’

    Dimmi che vuoi – che puoi – darmi felicita’
    E sotto – la mia pelle nascera’
    Per te un dolce fiume che – cantera’
    La mia speranza d’esser donna
    E la tua bocca poi lo berra’

    Dimmi che il posto mio non sto per perderlo
    Dentro la mia fiaccola tu sei
    Ma se – non sai bruciare piu’ – resta ancora
    Insieme canteremo e legnia
    Porteremo al nostro falo’

    Dimmi che vuoi – che puoi – darmi felicita’
    Apri le tue braccia e se ne andra’
    La mia tristezza finalmente sara’ un esplosione
    Di stelle cadenti sopra i fuochi gia’ spenti dei falo’
    Sole no! Non puoi – piu’ mandarci via
    Rosso stai salendo sempre piu’
    Lui sta dormendo il mare sa’ – quanto amore
    Mi ha dato e mi dara’ rubando il viso di una sera

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