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Posts Tagged ‘provincia reggio calabria’

La mia terra

Ti sento nel sussurro delle onde marine

ti vedo ma mi sei lontana

mi accogli ma ti sento fredda

la lontananza mi ha fatto perdere

il calore e la sensisività dei tuoi colori

mi allontano, e vedo che m’insegui ancora

ma il mio cuore ormai è lontano da Te

forse un giorno mi accoglierai e sarò tuo.

 Vincenzo De Benedetto

 

 

Stamani, a Palazzo Alvaro, Vincenzo De Benedetto ha presentato il suo bel volume sui Fatti di Reggio del 1970 e dintorni. Ho letto il libro, so quanta fatica e impegno ha profuso l’autore in un Paese come l’Italia nel quale è difficile fare qualsiasi ricerca.Io c’ero durante i Fatti dei quali si è discusso,  e c’ero pure  stamattina e devo dire che la cornice di oggi non è stata adeguata all’evento, dal momento che l’impianto audio funzionava malissimo facendo disperdere nell’etere molto di quanto veniva detto dagli oratori di turno. Devo esprimere le mie più sentite felicitazioni al professore  De Benedetto, reggino d’origine, romano di adozione, perchè con pazienza certosina e indomabile fervore, è riuscito a scavare in una “miniera” istituzionale documenti originali che fanno fede, quasi ce ne fosse bisogno, delle storture e dei soprusi subiti da una città come Reggio Di Calabria, che ha osato ribellarsi, rivoltarsi contro le ingiustizie  dell’apparato statale cosiddetto democratico, che, invece di cercare di capire e di ascoltare, ha preferito soffocare con i carri armati e nel sangue le istanze di un intero popolo. Onore e merito, dunque, all’autore; il quale cercando di attualizzare le memoria storica, come d’altra parte, è giusto fare, insiste nel dire, confortato dall’orizzonte del suo Osservatorio Romano,  che nella nostra città mancano i manager della cosa pubblica, necessari per far emergere  Reggio dalla palude in cui si trova ormai da troppo tempo, e per frenare l’emigrazione degli indigeni. Su questo aspetto io dissento dall’opinione dell’autore, con il quale mi sono confrontata più volte : questo problema, se vogliamo considerarlo tale, non è una esclusiva della nostra città e a questo proposito mi verrebbe da dire “nemo propheta in patria”, nel senso che il fenomeno, e qui mi riferisco all’emigrazione culturale, è antico come ci racconta la storia, ed è diffuso a tutte le latitudini perchè riguarda l’uomo, in quanto essere umano; senza trascurare un altro aspetto che è pure abbastanza diffuso di una osmosi residenziale, per cui si va e si viene, oggi magari più facilmente che in passato. Sono pure convinta che a Reggio e provincia ci sono delle persone preparate, colte, serie, che lavorano con amore e passione nel quotidiano, lontano dalla luce dei riflettori pseudosociali, e dai palcoscenici illusori.  Non posso fare a meno, poi, di spendere due parole sul Signor Arillotta, che ha presentato il lavoro stamani nel salone della Provincia : non solo storico, adesso  Arillotta è pure linguista perchè ci ha tenuto a precisare la differenza tra il termine”rivolta” e quello ” ribellione”, facendo una distinzione assolutamente gratuita, perchè si erge aldisopra addirittura della Treccani: non sa il Professore-Storico che rivolta e ribellione sono sinonimi?, come si fa, con pompa cattedratica, tanto invisa a tutti e soprattutto ai giovani, a prendere queste topiche? Come si fa, ancora, a demonizzare la lettura sugli strumenti digitali in favore di quella cartacea ? Certo che è bello avere tra le mani un buon libro e sentirne l’odore e degustarne il sapore, ma, accanto, la validità della lettura digitale è fuori discussione ed altrettanto importante sia per l’immediatezza, che per comodità. i mezzi informatici sono, infatti, secondo me, una risorsa non un impedimento.

Il messaggio che, secondo me, aldilà della validità della ricerca della verità storica, emerge in maniera prepotente dalle pagine  della fatica di Vincenzo De Benedetto per le nuove generazioni è che bisogna essere sempre determinati e decisi a raggiungere gli obiettivi, i desideri, i propri sogni, che camminano sulle nostre gambe. L’autore ci ha creduto, aldilà di ogni ragionevole dubbio : aveva in mente questo libro, che per lui è come un figlio,che dopo una lunga e travagliata gestazione, è venuto, finalmente, alla luce.

I versi, densi di sentimento e passione, messi ad apertura di questo pezzo, dicono il legame affettivo dell’autore con la sua città d’origine; proprio da questo sentire nasce il bisogno irrefrenabile di cercare e raccontare la verità. Complimenti , in bocca al lupo e sempre ad maiora.

 

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L’argento del Valanidi

Pubblicato da peppecaridi su 4, Novembre, 2009

https://i0.wp.com/www.meteoweb.it/cgi/uploads/sezioni/4118/foto/14.jpgdi Stefano Migliardi – Sulla mia scrivania ormai da tempo giaceva dimenticata una cartellina con su scritto “Argento nell’alta valle della fiumara Valanidi”.
Lavoro e famiglia non mi davano tregua, ma ogni tanto la riaprivo per aggiungere qualche traccia in più.

La mia curiosità riguardava la storia dell’estrazione di metalli preziosi dalle colline sopra Reggio Calabria.

Articoli presi qua e là, scritti da professori come Rubino o Sorgonà, spunti da lavori di geologi moderni famosi come Pileggi, Pipino oppure la descrizione geologica della Calabria del mitico ing. Cortese.

Gli indizi erano parecchi e tutti datati:

  • L’ing. Melograni che nel 1823 esplorando geologicamente l’Aspromonte diceva che “le cave erano aperte nei valloni del Valanidi come Allai… dal cunicolo della “Stroffa” usciva il materiale per la fonderia ed in quantità…”
  • L’articolo del prof. Orlando Sorgonà sulle fonderie di Arangea che riportava tanti estratti bibliografici tra cui il De Lorenzo (1760) che parlava di “…laverie della terra argentifera del Valanidi”.
  • La patena di argento dorato conservata nello spettacolare Museo di San Paolo a Reggio, unico residuo dei prodotti delle officine di Arangea con un testo latino inciso che festeggia il matrimonio tra Carlo III e la regina Amalia nel 1750.

    Insomma, Re Carlo III di Borbone aveva fatto arrivare dalla Sassonia tecnici e minatori (conterranei della Regina), esperti nell’estrarre e lavorare minerali preziosi. Aveva fatto costruire una grande fonderia dove “macinando e arrostendo” rocce e galene provenienti anche dalla vallata del Valanidi, si producevano ferro, rame, piombo e da quest’ultimo appunto l’argento.

    Questa era la storia, ma adesso dove si trovano queste miniere?

    Si sapeva che c’era qualche accenno di traforo o vecchi ruderi, ma cercavo la corrispondenza tra la realtà odierna del 2009 d.C. e quanto si scriveva due secoli fa. Specialmente sulla parte “argentifera”.

    In mio aiuto, la mail di un amico cacciatore che segnalava grotte non meglio identificate in un costone della vallata aggiungendo qualche riferimento topografico.
    Non essendo zona abitata escludevo che fosse un rifugio antiaereo perciò poteva essere proprio una bocca di miniera.

    L’unico modo di verificare era andarci, attrezzati da trekking e sperando in una giornata meteorologicamente “clemente”.

    Un sabato le condizioni si facevano favorevoli e con il prof. Sorgonà percorriamo con la macchina la strada che ci porta verso l’alta valle del Valanidi.

    Ritrovo qualche riferimento della mail ma chiedendo in loco restringiamo il campo di indagine.
    Scendiamo in un valloncello e dopo circa 100 metri ci ritroviamo di fronte ad un costone di roccia nerastra pieno di rovi. Al centro proprio la bocca di miniera.

    L’emozione è forte poiché davanti a noi si materializzano, a distanza di 200 anni, i resti di quegli scavi cominciati da uomini venuti da lontano ovvero quei tedeschi di Sassonia ed in particolare di Frieberg, città tutt’oggi famosa al mondo come la “città dell’Argento”.

    Chissà per quanti anni e chissà quanto materiale “prezioso” è uscito da quel cunicolo. Incredibile vedere intere pareti “scalpellate” a mano per rincorrere, nelle viscere della terra, la sinuosa “vena” argentifera.

    Immaginare poi che dov’ero io, si muovevano freneticamente squadre di minatori che entravano ed uscivano, si davano i turni, caricavano forse carrelli o cassette e chi lo sa che altro facevano.
    Decido di entrare per qualche metro procedendo carponi poi riesco ad alzarmi quasi completamente; la galleria non è molto lunga e probabilmente è ostruita; una presa d’aria fa entrare un raggio di sole e mi fa scorgere in basso un rudimentale canale scavato a mano che probabilmente faceva defluire l’acqua di infiltrazione da qualche altra parte a valle.

     

    Scatto alcune foto ed appoggio alle pareti lo stemma della Sassonia come per riportare in quei luoghi qualcosa dei suoi antichi frequentatori.

    Lasciamo il posto senza toccare nulla in segno di rispetto per i luoghi e per le proprietà altrui.
  • E l’argento? Rimarrà lì perché, oggi, non è più economicamente “conveniente” estrarlo come si faceva al tempo; la quantità che si ottiene è poca in proporzione al lavorato e soprattutto il prezzo odierno della materia prima è notoriamente basso.
    Già le indagini dell’epoca (nel 1800) davano per Valanidi ogni 100 kg di piombo lavorato dalla roccia circa 500 grammi di argento puro.
    Invece per la galena di Rosalì (ma poi la vena fu “persa”…) ogni 100 kg di roccia si estraevano 68 kg di piombo e da 100 kg di piombo si tiravano 300 grammi di argento.

    Nel 1750 doveva essere invece un metallo veramente prezioso se per esso, per il ferro e per il rame si arrivò a costruire ad Arangea (oggi via Miniera) una fonderia che contava oltre 700 dipendenti tra tedeschi ed italiani che vi edificarono pure la chiesa dove pregare (ricostruita poi nell’odierna San Giovanni Nepomuceno, il santo dei “tedeschi”).

    Poi dopo una trentina d’anni l’abbandono, i terremoti, l’oblio….

    Magari oggi si potrebbe creare un bel percorso di valorizzazione di quelle bocche di miniera.
    Magari si potrebbe fare un gemellaggio con la città di Frieberg in Sassonia nelle cui biblioteche comunali si trova un pezzo di storia di Arangea e del Valanidi.

    Sapremo così dov’è andato a finire l’argento… magari è sepolto sotto qualche bergamotteto!

    Post Scriptum: ringrazio il prof. Orlando Sorgonà (da nominare al più presto Assessore alla Cultura!) e gli amici del Valanidi sia quelli che sono rimastia vivere e a lottare con i denti per conservare il territorio sia quelli lontani che non hanno mai smesso di amare la loro spettacolare vallata.

    tutte le foto qui

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